La Nuova Sardegna

Sassari

Il cemento di Ombra e il destino fatiscente della “Casa dei Topi”

di Luigi Soriga
Il cemento di Ombra e il destino fatiscente della “Casa dei Topi”

I pugni nell’occhio che i sindaci non riescono a cancellare Le metastasi urbane tra varianti, permessi e demolizioni

16 febbraio 2020
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SASSARI. Il degrado e le brutture talvolta diventano arredo urbano. Lo sguardo finisce per abituarsi agli obbrobri. Eppure, passeggiando per Sassari, in quelle giornate in cui si è un tantino più recettivi agli scempi, quante volte sarà capitato di affermare: «Non è possibile, questo schifo è ancora così?». Ed ecco la prima puntata di un viaggio dentro l’incuria, i monumenti cittadini al “me ne frego”, i pugni nell’occhio che i sindaci non sono mai riusciti a cancellare.

Ombra. In pole position non può che esserci il mostro di cemento di Ombra, che si allunga e sovrasta con i suoi quattro piani di ferro e calcestruzzo la zona industriale di Sassari. Così da oltre vent’anni, con tutte le amministrazioni che si sono succedute negli anni assolutamente passive di fronte a questa metastasi edilizia. Una storia che parte il 23 novembre del 95, quando l'imprenditore John Pinna, titolare della ditta “Cuore di Sardegna”, chiese la licenza edilizia per la costruzione di un capannone industriale nella strada 1. Un moloch cresciuto sopra il vuoto normativo del piano regolatore, sopra la troppa disinvoltura delle amministrazioni nel rilascio di proroghe e licenze, e sulla poca voglia di ficcare il naso dentro un cantiere senza fine.

Dopo aver ottenuto nel ’95 l'autorizzazione a costruire un capannone industriale, avrebbe dovuto finire i lavori entro tre anni. Ma nel ’99 il Comune gli approva una variante, e dunque ha altri tre anni per portare a termine l'opera. Cosi si arriva nel 2002, e l'ufficio tecnico concede un'ulteriore proroga. Ma nel 2005 siamo punto e accapo, ma ancora una volta Palazzo Ducale lancia una ciambella di salvataggio e il 27 gennaio rinnova la concessione edilizia. Il 25 marzo Pinna richiede un'altra variante, e con l'ok dell'amministrazione si arriva al 2008. Nel frattempo sono germogliati due piani seminterrati, più altri quattro piano, con un’area parcheggi prevista sopra il tetto. E sembra tutto in regola perché il proprietario ha sviluppato subito tutta la volumetria a disposizione, sfruttando soprattutto le altezze. Gli strumenti urbanistici dell'epoca lo consentivano, dal momento che non esistevano vincoli. L’unica leva che il Comune potrebbe esercitare, vista la presunta assenza di abusi, è quella del decoro o della sicurezza. Nessuno finora l’ha mai fatta valere.

Casa dei topi. In piazza Mazzotti gli occhi non possono far a meno di posarsi sui muri decadenti della “Casa dei topi”. Così è stato ribattezzato l'edificio posto all'angolo tra le vie Duomo e Margherita di Castelvì. Ed è un vero peccato, perché anticamente aveva un’aurea ben più nobile: il Palazzo del Confessore. Esiste dal XVII secolo ed era pertinenza del convento delle Clarisse di Santa Chiara. Poi ci furono le demolizioni del 1939-1940, per creare il vuoto nella “Piazza Sventramento”. Di quel Palazzo sopravvisse solo una porzione, e da quel momento in poi fu solo un precipitare nell’abbandono. I proprietari non se ne presero mai cura, la mannaia della demolizione sempre pronta ad abbattersi, fino all’inaspettato miracolo del 2018: un imprenditore aveva deciso di riqualificare la struttura, per ricavarne un centro polivalente. Inizia il cantiere, l’area è transennata, ma poi il progetto si sgretola. Il titolare purtroppo muore prima che inizino i lavori. Via le transenne, rimane il monumento al degrado.

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