«Un processo fatto solo di indizi»
di Nadia Cossu
Delitti Monni-Masala, la difesa: Cubeddu doveva essere colpevole a tutti i costi. Il 3 luglio la sentenza
26 giugno 2020
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SASSARI. Circa quattro ore di arringa per chiudere la difesa nel processo d’appello contro Alberto Cubeddu, il giovane di Ozieri accusato, in concorso con il cugino Paolo Enrico Pinna (già condannato a vent’anni di carcere con sentenza definitiva) di aver ucciso l’8 maggio del 2015 lo studente di Orune Gianluca Monni e, il giorno prima, il trentenne di Nule Stefano Masala. Si va dunque verso la sentenza prevista, salvo intoppi dell’ultima ora, per il prossimo 3 luglio.
Ieri mattina è toccato all’avvocato Patrizio Rovelli (che assiste l’imputato insieme alla collega Mattia Doneddu) provare a smontare l’impianto accusatorio «fatto esclusivamente di indizi – ha ripetuto più volte il legale – Perché non sono certo prove quegli elementi assolutamente privi di spessore che hanno portato i giudici di primo grado a condannare all’ergastolo Alberto Cubeddu». Stessa pena – il carcere a vita – è stata chiesta qualche settimana fa dal procuratore generale nel processo che si sta celebrando davanti alla corte d’assise d’appello presieduta dal giudice Plinia Azzena (a latere Carmela Rita Serra).
Rovelli ieri mattina ne ha avuto per tutti: per le falle nelle indagini della prima ora, per l’inattendibilità dei testimoni chiave Alessandro Taras e Giuliana Mariane, per i giudici della corte d’assise di Nuoro che avrebbero emesso «una sentenza ricca di gravissime contraddizioni». Per tutta una serie di «accuse e dichiarazioni non riscontrate da elementi esterni». Si è soffermato, l’avvocato, soprattutto su quello che ha parlato senza mezzi termini di «atteggiamento insinuante» da parte degli inquirenti all’indomani del delitto Monni. «Cubeddu per loro era colpevole e ogni dato del processo doveva essere finalizzato a dimostrare questo». E a proposito ha ricordato proprio la testimonianza di Taras, ossia colui che aveva sostenuto già in incidente probatorio di aver accompagnato Cubeddu a incendiare l’Opel Corsa di Stefano Masala usata per raggiungere Orune l’8 maggio e ammazzare Gianluca. Senza sapere di chi fosse quella macchina e a cosa fosse servita. «Quella di Taras – ha tuonato l’avvocato Rovelli – è stata definita una “leale e serena collaborazione con la giustizia”. La verità è che con la sua testimonianza lui ha portato a casa i suoi bei risultati». Taras fu infatti assolto dal gup di Nuoro per l’incendio dell’auto di Masala. I suoi avvocati Sergio Milia e Maria Claudia Pinna sostennero che il loro cliente non sapesse che quell’auto fosse di Stefano Masala quando la sera dell’8 maggio 2015 Alberto Cubeddu gli chiese di accompagnarlo. Credeva che si trattasse di un’auto vecchia che il giovane di Ozieri voleva distruggere per questioni di bollo e di assicurazioni. Almeno così gli aveva voluto far credere per farsi accompagnare nelle campagne di Pattada.
Ha poi parlato, Rovelli, di «scollamento tra inquirenti della polizia giudiziaria e Procura». E ha rievocato, in particolare, il decreto con il quale l’allora gip di Nuoro Mauro Pusceddu autorizzò due intercettazioni ambientali nelle auto di Alessandro Taras e del fratello Michele: «Intercettazioni – ha ricordato ieri il legale – che non sono mai state attivate dagli investigatori».
Poi l’accento è stato messo sulle incongruenze tra orari, numero di chilometri percorsi e celle telefoniche agganciate nel tragitto per raggiungere la località Osaspera dove venne incendiata l’Opel. «L’alibi di Cubeddu – ha detto Rovelli a proposito – è rappresentato proprio dal suo cellulare».
Infine, il capitolo Mariane: «La giovane di Orune non riconosce Cubeddu nelle foto che le mostrano i carabinieri. Non dice: “Ho visto lui”. Dice piuttosto che i lineamenti del suo volto sono quelli che più somigliano al giovane che la mattina dell’8 maggio era a bordo di «una Fiat Grande Punto. Nemmeno parla di un’Opel Corsa...». Il 3 luglio eventuali repliche e sentenza.
Ieri mattina è toccato all’avvocato Patrizio Rovelli (che assiste l’imputato insieme alla collega Mattia Doneddu) provare a smontare l’impianto accusatorio «fatto esclusivamente di indizi – ha ripetuto più volte il legale – Perché non sono certo prove quegli elementi assolutamente privi di spessore che hanno portato i giudici di primo grado a condannare all’ergastolo Alberto Cubeddu». Stessa pena – il carcere a vita – è stata chiesta qualche settimana fa dal procuratore generale nel processo che si sta celebrando davanti alla corte d’assise d’appello presieduta dal giudice Plinia Azzena (a latere Carmela Rita Serra).
Rovelli ieri mattina ne ha avuto per tutti: per le falle nelle indagini della prima ora, per l’inattendibilità dei testimoni chiave Alessandro Taras e Giuliana Mariane, per i giudici della corte d’assise di Nuoro che avrebbero emesso «una sentenza ricca di gravissime contraddizioni». Per tutta una serie di «accuse e dichiarazioni non riscontrate da elementi esterni». Si è soffermato, l’avvocato, soprattutto su quello che ha parlato senza mezzi termini di «atteggiamento insinuante» da parte degli inquirenti all’indomani del delitto Monni. «Cubeddu per loro era colpevole e ogni dato del processo doveva essere finalizzato a dimostrare questo». E a proposito ha ricordato proprio la testimonianza di Taras, ossia colui che aveva sostenuto già in incidente probatorio di aver accompagnato Cubeddu a incendiare l’Opel Corsa di Stefano Masala usata per raggiungere Orune l’8 maggio e ammazzare Gianluca. Senza sapere di chi fosse quella macchina e a cosa fosse servita. «Quella di Taras – ha tuonato l’avvocato Rovelli – è stata definita una “leale e serena collaborazione con la giustizia”. La verità è che con la sua testimonianza lui ha portato a casa i suoi bei risultati». Taras fu infatti assolto dal gup di Nuoro per l’incendio dell’auto di Masala. I suoi avvocati Sergio Milia e Maria Claudia Pinna sostennero che il loro cliente non sapesse che quell’auto fosse di Stefano Masala quando la sera dell’8 maggio 2015 Alberto Cubeddu gli chiese di accompagnarlo. Credeva che si trattasse di un’auto vecchia che il giovane di Ozieri voleva distruggere per questioni di bollo e di assicurazioni. Almeno così gli aveva voluto far credere per farsi accompagnare nelle campagne di Pattada.
Ha poi parlato, Rovelli, di «scollamento tra inquirenti della polizia giudiziaria e Procura». E ha rievocato, in particolare, il decreto con il quale l’allora gip di Nuoro Mauro Pusceddu autorizzò due intercettazioni ambientali nelle auto di Alessandro Taras e del fratello Michele: «Intercettazioni – ha ricordato ieri il legale – che non sono mai state attivate dagli investigatori».
Poi l’accento è stato messo sulle incongruenze tra orari, numero di chilometri percorsi e celle telefoniche agganciate nel tragitto per raggiungere la località Osaspera dove venne incendiata l’Opel. «L’alibi di Cubeddu – ha detto Rovelli a proposito – è rappresentato proprio dal suo cellulare».
Infine, il capitolo Mariane: «La giovane di Orune non riconosce Cubeddu nelle foto che le mostrano i carabinieri. Non dice: “Ho visto lui”. Dice piuttosto che i lineamenti del suo volto sono quelli che più somigliano al giovane che la mattina dell’8 maggio era a bordo di «una Fiat Grande Punto. Nemmeno parla di un’Opel Corsa...». Il 3 luglio eventuali repliche e sentenza.