Grosso: «È allarme droghe aiutiamo i nostri ragazzi»
di Giovanni Bua
Lo psicoterapeuta del Gruppo Abele: «Spenti i riflettori e tagliate le risorse»
13 febbraio 2022
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SASSARI. La pandemia? Un detonatore di fenomeni che già esistevano e bruciavano sotto la cenere? L’eroina? È tornata, ma con modalità di consumo diverse da come la conosciamo, e in un quadro di policonsumo complesso. Dove a fare la parte del leone sono sostanze da prestazione come anfetamine, metanfetamine, cocaina e le nuove sostanze reperite su internet. E chiaramente l’alcol. I servizi pubblici? Molto tarati sulla cura degli eroinomani, che sicuramente sono i più “fedeli” ma sono la minoranza, tutti gli altri sfuggono, hanno un rapporto mordi e fuggi, o non entrano assolutamente nei radar. I giovani? Sono in pericolo, e bisogna assolutamente riprendere ad andare in mezzo a loro, ad ascoltarli, a cercare di capirli.
Sono parole pesanti quelle di Leopoldo Grasso, psicologo e psicoterapeuta, vice presidente del Gruppo Abele, responsabile dell'Università della Strada (area formativa del Gruppo Abele), una vita in prima linea contro le dipendenze. Ieri era a Sassari per partecipare al corso di Mondo X per la prevenzione e la formazione dei volontari su Hiv/Aids, chiamato da padre Salvatore Morittu per discutere del malato di Aids, del suo vissuto e delle relazioni parentali. E col fondatore di Mondo X condivide la «chiamata alle armi»: «Dobbiamo riallacciare i legami con una generazione che ci sfugge, e che ha bisogno di aiuto».
I campanelli di allarme non mancano. Qualche settimana fa un ragazzo è morto nei bagni della stazione di Sassari per overdose. Un fatto di cronaca che sembra arrivare dal passato e che invece è triste presente. «Le morti da overdose negli ultimi due, tre anni sono in progressivo rialzo – sottolinea Grasso –. Un aumento che certamente preoccupa e che è da tenere sotto’occhio, anche se è importante segnalare come le morti da sostanze siano prevenibili, in primis con la messa a disposizione di strumenti informativi e sanitari (come il naloxone) utili a riconoscere e intervenire. Il problema vero è diventato intercettare il problema, entrare dentro quella enorme area grigia che c’è tra il consumo e la dipendenza».
«Dipendenza che – spiega lo psicoterapeuta autore di numerose pubblicazioni sul tema – è sempre esternalizzazione del disagio. Che può esplodere nelle sintomatologie note, come i disturbi alimentari, gli attacchi di panico, i sempre più frequenti attacchi d’ansia. E fa da correlato alla richiesta di prestazioni sempre maggiori, a un non sentirsi all’altezza di quello che viene proposto dalle culture di gruppo. Ma può sfociare anche nella ribellione attraverso agiti di gruppo. Quel fare banda a livello giovanile, minorile dove questa identità di gruppo, che si impone anche con la forza e la violenza, è surrogatoria di identità individuali molto fragili, che trovano affermazione attraverso atti eclatanti. La maggioranza di questi ragazzi si ridefinisce, alcuni rimangono intrappolati nella devianza».
Le soluzioni? «Col tempo è venuta meno un’azione di contrasto abbastanza costosa che prima il ministero della Salute, il Dipartimento antidroga avevano attuato soprattutto sull’onda della legge del 1990. Si sono spenti i riflettori, chiusi i rubinetti dei finanziamenti. La spesa sanitaria ha toccato persino i servizi territoriali tra cui i servizi per le dipendenze che hanno visto diminuire, nel tempo, il numero di servizi pubblici, il numero delle comunità terapeutiche. Lo stesso dipartimento antidroga è depotenziato non c’è più un comitato tradizionale, sono ormai dieci anni che non si organizzano conferenze nazionali sulla droga – prevista per legge ogni tre anni – tutto è stato lasciato andare».
«Per tutto questo mondo – continua Grasso – esiste la necessità di ripensarsi. Di trovare una chiave d’accesso a un vissuto giovanile in cui i consumi sono inseriti nel contesto del divertimento, sono droghe di compartecipazione e non di estraniazione, quindi tra i giovani non esiste un vero e proprio pregiudizio. I giovani che si avvicinano alle sostanze obbediscono a un principio di autoregolazione con sbalzi e abusi per poi cessare il consumo. Alcuni, invece ne sviluppano la dipendenza. Le caratteristiche sono riconducibili a persone destabilizzate che manifestano problematiche di tipo personale, di disagio, di sofferenza, di personalità. Sono quelli che con più facilità possono sviluppare una dipendenza perché la sostanza a loro non dà solo il piacere legato al consumo, ma riescono a stare bene con se stessi in un momento di tregua, di tranquillità. A questi ragazzi dobbiamo di nuovo imparare a parlare, con servizi che devono per forza essere territoriali, vicini, e attivi, anche se sono proprio i servizi che più di tutti sono stati scientemente smontati. Questi ragazzi non verranno mai a bussare alla nostra porta, noi li dobbiamo andare a trovare».
Sono parole pesanti quelle di Leopoldo Grasso, psicologo e psicoterapeuta, vice presidente del Gruppo Abele, responsabile dell'Università della Strada (area formativa del Gruppo Abele), una vita in prima linea contro le dipendenze. Ieri era a Sassari per partecipare al corso di Mondo X per la prevenzione e la formazione dei volontari su Hiv/Aids, chiamato da padre Salvatore Morittu per discutere del malato di Aids, del suo vissuto e delle relazioni parentali. E col fondatore di Mondo X condivide la «chiamata alle armi»: «Dobbiamo riallacciare i legami con una generazione che ci sfugge, e che ha bisogno di aiuto».
I campanelli di allarme non mancano. Qualche settimana fa un ragazzo è morto nei bagni della stazione di Sassari per overdose. Un fatto di cronaca che sembra arrivare dal passato e che invece è triste presente. «Le morti da overdose negli ultimi due, tre anni sono in progressivo rialzo – sottolinea Grasso –. Un aumento che certamente preoccupa e che è da tenere sotto’occhio, anche se è importante segnalare come le morti da sostanze siano prevenibili, in primis con la messa a disposizione di strumenti informativi e sanitari (come il naloxone) utili a riconoscere e intervenire. Il problema vero è diventato intercettare il problema, entrare dentro quella enorme area grigia che c’è tra il consumo e la dipendenza».
«Dipendenza che – spiega lo psicoterapeuta autore di numerose pubblicazioni sul tema – è sempre esternalizzazione del disagio. Che può esplodere nelle sintomatologie note, come i disturbi alimentari, gli attacchi di panico, i sempre più frequenti attacchi d’ansia. E fa da correlato alla richiesta di prestazioni sempre maggiori, a un non sentirsi all’altezza di quello che viene proposto dalle culture di gruppo. Ma può sfociare anche nella ribellione attraverso agiti di gruppo. Quel fare banda a livello giovanile, minorile dove questa identità di gruppo, che si impone anche con la forza e la violenza, è surrogatoria di identità individuali molto fragili, che trovano affermazione attraverso atti eclatanti. La maggioranza di questi ragazzi si ridefinisce, alcuni rimangono intrappolati nella devianza».
Le soluzioni? «Col tempo è venuta meno un’azione di contrasto abbastanza costosa che prima il ministero della Salute, il Dipartimento antidroga avevano attuato soprattutto sull’onda della legge del 1990. Si sono spenti i riflettori, chiusi i rubinetti dei finanziamenti. La spesa sanitaria ha toccato persino i servizi territoriali tra cui i servizi per le dipendenze che hanno visto diminuire, nel tempo, il numero di servizi pubblici, il numero delle comunità terapeutiche. Lo stesso dipartimento antidroga è depotenziato non c’è più un comitato tradizionale, sono ormai dieci anni che non si organizzano conferenze nazionali sulla droga – prevista per legge ogni tre anni – tutto è stato lasciato andare».
«Per tutto questo mondo – continua Grasso – esiste la necessità di ripensarsi. Di trovare una chiave d’accesso a un vissuto giovanile in cui i consumi sono inseriti nel contesto del divertimento, sono droghe di compartecipazione e non di estraniazione, quindi tra i giovani non esiste un vero e proprio pregiudizio. I giovani che si avvicinano alle sostanze obbediscono a un principio di autoregolazione con sbalzi e abusi per poi cessare il consumo. Alcuni, invece ne sviluppano la dipendenza. Le caratteristiche sono riconducibili a persone destabilizzate che manifestano problematiche di tipo personale, di disagio, di sofferenza, di personalità. Sono quelli che con più facilità possono sviluppare una dipendenza perché la sostanza a loro non dà solo il piacere legato al consumo, ma riescono a stare bene con se stessi in un momento di tregua, di tranquillità. A questi ragazzi dobbiamo di nuovo imparare a parlare, con servizi che devono per forza essere territoriali, vicini, e attivi, anche se sono proprio i servizi che più di tutti sono stati scientemente smontati. Questi ragazzi non verranno mai a bussare alla nostra porta, noi li dobbiamo andare a trovare».