Ansia, disagio e isolamento: è allarme tra gli adolescenti
Il dirigente del liceo Azuni: «I nostri sportelli d’ascolto sono presi d’assalto»
Sassari L’ansia serpeggia tra i banchi come una presenza silenziosa. Ha il volto di studenti che dormono poco, si isolano, faticano a respirare davanti a un’interrogazione. In alcuni casi, ha l’aspetto di una pillola: un ansiolitico, un antidepressivo, un farmaco che diventa rifugio. Nelle scuole superiori italiane l’uso di psicofarmaci legati al disagio psichico degli adolescenti è una realtà sempre più visibile, trasversale, preoccupante.
«Mai come quest’anno ho visto tante certificazioni legate all’ansia. Alcuni ragazzi non riescono più a frequentare in presenza: abbiamo casi di istruzione domiciliare, anche hikikomori – afferma Antonio Deroma, dirigente del liceo Azuni di Sassari – Io faccio questo lavoro da tredici anni, ma i dati post pandemia sono preoccupanti».
Un’onda lunga che arriva dal post-Covid, secondo Deroma: «Il ritorno alla normalità è stato dato per scontato». Le scuole si sono trovate a gestire una situazione emotiva nuova dei ragazzi, mai davvero elaborata. «I nostri sportelli psicologici, alcuni avviati con fondi Pnrr, sono stati presi d’assalto: i ragazzi oggi non hanno più paura di chiedere aiuto».
A cambiare è il volto stesso dell’adolescenza. Andrea Zoccheddu, docente di informatica dell’Iti Angioy di Sassari, osserva: «Dopo la pandemia i casi sono raddoppiati. Non tutti i ragazzi stanno male, ma almeno un paio per classe manifestano disagio: insonnia, attacchi di panico, senso di isolamento. Si sentono inadeguati rispetto alle richieste della scuola e della società, ma anche rispetto all’aspetto fisico, ai modelli irraggiungibili che vedono online».
Il problema, sottolinea Zoccheddu, non è solo la pressione scolastica. «I ragazzi hanno perso la capacità di sognare. O vi hanno rinunciato, oppure si aggrappano a sogni preconfezionati forniti dai media: successo, fama, denaro. In questo contesto, la scuola appare spesso scollegata dalla realtà. E un adolescente fragile cerca rifugio in una fuga, che può essere farmacologica, digitale o chimica».
Giulio Littera, psicologo, psicoterapeuta e giudice onorario del tribunale minorile di Sassari, aggiunge un altro tassello: «Molti adolescenti usano psicofarmaci per “proteggersi” da aspettative esterne. L’ansia è un campanello d’allarme, ma spesso non viene ascoltato. Altri si rifugiano in sostanze, o scivolano nell’autolesionismo, che oggi è diventato un vero e proprio fenomeno estremamente diffuso».
Secondo Littera, la mancanza di punti di riferimento gioca un ruolo centrale: «Le famiglie sono spesso presenti fisicamente ma assenti affettivamente. Molti genitori sono giovani, inesperti, a volte travolti a loro volta da fragilità. C’è un messaggio implicito da parte loro: devi farcela, devi superare il limite. Ma pochi offrono davvero un sostegno emotivo».
Tra i segnali più evidenti c’è l’isolamento: «Un ragazzo che si chiude in camera, che si allontana dagli amici o dai compagni, è un allarme. Ma anche i sintomi fisici – dolori ricorrenti, malesseri vaghi – sono spie da non ignorare. Dopo il Covid molte ossessioni si sono cronicizzate. E i casi di hikikomori sono aumentati tantissimo» conclude Littera.
In questo scenario, il web e i social network giocano un ruolo ambiguo: da un lato amplificano l’ansia con modelli irrealistici e pressioni costanti, dall’altro possono diventare l’unico luogo in cui i ragazzi sentono di potersi esprimere. Littera parla di una vera “influenza del web” sul fragile equilibrio psichico dei più giovani.
Se da un lato lo stigma verso la salute mentale è in calo, dall’altro permane una frattura culturale e generazionale: «A volte – racconta Zoccheddu – sono le famiglie a vietare ai figli di andare dallo psicologo della scuola. Il pregiudizio non è nei ragazzi, ma negli adulti». Intanto le scuole fanno quello che possono, tra sportelli temporanei, fondi a scadenza e iniziative locali. Ma i segnali raccolti quest’anno dicono chiaramente che non basta. Il disagio non è un’eccezione, è diventato parte integrante della quotidianità scolastica. Serve ascolto, presenza, tempo. E serve anche un cambio di passo: non bastano più gli interventi a progetto. Perché i numeri non sono in calo, e la fragilità degli adolescenti – oggi – non è più invisibile. «I nostri studenti sono senza dubbio più attenti al benessere mentale e non hanno più imbarazzo a chiedere aiuto, ma la figura dello psicologo scolastico dovrebbe diventare organica» conclude il preside Deroma.