Un anno di inibizione ad Andrea Agnelli
Il Tfn condanna il patron della Juve per i rapporti con gli ultrà, la Procura ricorre
26 settembre 2017
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ROMA. Un “modus operandi”, la disponibilità a “venire a patti” con gli ultrà per non avere problemi, la consapevolezza e anzi l'agevolazione di questa politica da parte di Agnelli; ma al tempo stesso l'inconsapevolezza che quelle frange del tifo fossero infiltrate dalla 'ndranghta. Sono alcuni dei passaggi chiave del dispositivo della sentenza del Tribunale federale che inibisce per 12 mesi il presidente della Juve.
Il procedimento sportivo contro Andrea Agnelli e la Juventus nasce dopo l'inchiesta penale denominata “Alto Piemonte” della Procura di Torino sulle presunte infiltrazioni della 'ndrangheta nella curva bianconera. Secondo l'accusa, Agnelli aveva favorito il bagarinaggio, partecipando a diversi incontri in violazione dell'articolo 12 del codice di giustizia sportiva. Il procuratore federale Giuseppe Pecoraro aveva chiesto due anni e mezzo di inibizione per il presidente bianconero e che la squadra giocasse due partite a porte chiuse. Richiesta più che dimezzata, da 30 a 12 mesi.
Il Collegio giudicante rileva la circostanza «oltremodo preoccupante in ragione del fatto che non sono stati fenomeni sporadici e occasionali», ma «un vero e proprio modus operandi di una delle società più blasonate a livello europeo» e per un «lunghissimo arco di tempo». La presunta «vis estorsiva dei capi ultrà non trova conferma nelle dichiarazioni dei deferiti che, al contrario, riconoscono di non essere mai stati né minacciati e neppure particolarmente vessati»; insomma, la scesa “a patti” non era mossa da minacce.
Secondo il Tfn, emerge un'attività finalizzata «al mantenimento dei gruppi e dei sostenitori ai quali avevano riconosciuto i predetti benefici in dispregio della normativa».
Ma su un punto il Tribunale nega dalle fondamenta le tesi dell'accusa: che i dirigenti bianconeri e soprattutto Agnelli sapessero che Dominello era un affiliato di cosche mafiose.
«Sono parzialmente soddisfatto perchè siamo riusciti a provare la colpevolezza di tutti, ma i fatti sono talmente gravi che secondo me andavano sanzionati di più: per questo presenteremo ricorso», le parole del capo della Procura Figc, Giuseppe Pecoraro.
Il procedimento sportivo contro Andrea Agnelli e la Juventus nasce dopo l'inchiesta penale denominata “Alto Piemonte” della Procura di Torino sulle presunte infiltrazioni della 'ndrangheta nella curva bianconera. Secondo l'accusa, Agnelli aveva favorito il bagarinaggio, partecipando a diversi incontri in violazione dell'articolo 12 del codice di giustizia sportiva. Il procuratore federale Giuseppe Pecoraro aveva chiesto due anni e mezzo di inibizione per il presidente bianconero e che la squadra giocasse due partite a porte chiuse. Richiesta più che dimezzata, da 30 a 12 mesi.
Il Collegio giudicante rileva la circostanza «oltremodo preoccupante in ragione del fatto che non sono stati fenomeni sporadici e occasionali», ma «un vero e proprio modus operandi di una delle società più blasonate a livello europeo» e per un «lunghissimo arco di tempo». La presunta «vis estorsiva dei capi ultrà non trova conferma nelle dichiarazioni dei deferiti che, al contrario, riconoscono di non essere mai stati né minacciati e neppure particolarmente vessati»; insomma, la scesa “a patti” non era mossa da minacce.
Secondo il Tfn, emerge un'attività finalizzata «al mantenimento dei gruppi e dei sostenitori ai quali avevano riconosciuto i predetti benefici in dispregio della normativa».
Ma su un punto il Tribunale nega dalle fondamenta le tesi dell'accusa: che i dirigenti bianconeri e soprattutto Agnelli sapessero che Dominello era un affiliato di cosche mafiose.
«Sono parzialmente soddisfatto perchè siamo riusciti a provare la colpevolezza di tutti, ma i fatti sono talmente gravi che secondo me andavano sanzionati di più: per questo presenteremo ricorso», le parole del capo della Procura Figc, Giuseppe Pecoraro.