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Manlio Scopigno: whisky, sigarette e tattica

Enrico Gaviano
Manlio Scopigno: whisky, sigarette e tattica

Il “Filosofo” per tutti i giocatori fu come un padre, oltre che un allenatore innovatore come pochi altri in Italia

05 maggio 2020
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Manlio Scopigno è stato l’allenatore del Cagliari per 5 stagioni: nel 1966-67 e poi ininterrottamente dal 1968 al 1972. In questi campionati Gigi Riva ha vinto per 3 volte la classifica dei cannonieri, in uno è arrivato secondo per un solo gol dietro Boninsegna e in uno è stato stoppato dall’infortunio di Vienna. Questo per sottolineare come il tecnico friulano abbia sempre impostato la squadra sul finalizzatore “Rombo di tuono”. Il “filosofo” credeva ciecamente nel bomber, tanto che è stato merito suo e di Andrea Arrica se Riva è restato a Cagliari. «Se non lo vendiamo – ripeteva profeticamente il tecnico rossoblù già nell’estate del 1967 – il Cagliari può anche vincere lo scudetto».

La squadra che aveva allenato per la prima volta nel 66-67 aveva chiuso al sesto posto, giocando un football di alto livello. Quell’estate però accadde il fattaccio: durante la tournèe estiva negli Stati Uniti, Scopigno fece pipì nel giardino dell’ambasciata italiana a Washington. Scoppiò lo scandalo e il presidente di allora, Enrico Rocca, trovò l’occasione per cacciare su due piedi quell’allenatore ribelle, e dedito un po’ troppo all’alcol e che, oltretutto, gli voleva rovinare i piani di cessione di Riva.

Arrivò Ettore Puricelli, che però non fece presa con i giocatori. Gigi Riva racconta. «Con Scopigno ci sentivamo tutti suoi figli, era un padre severo ma buono. Puricelli pensava a se stesso. Quando vincevamo si metteva l’abito della nazionale italiana che aveva conservato gelosamente , e sfilava tronfio in via Roma. Non abbiamo mai legato. Per questo il ritorno di Scopigno fu accolto da noi con grande gioia e con la certezza che avremmo potuto costruire grandi cose».

Sigarette e whisky, accompagnati dal dono dell’ironia. E quel volto scavato. Scopigno sembrava quasi un personaggio dei film americani degli anni 50, un Bogart delle panchine. Fu lui a provare nelle sue squadre, prima Vicenza e Bologna, e poi il Cagliari, il libero che costruisce e quindi, dalla stagione dello scudetto, il falso centravanti. Spicchi di tattica che poi in molti hanno copiato. «Era un innovatore – ha detto più volte Cera, il cervello della squadra –. Uno che ci ha dato tanta libertà ma ci ha fatto capire che non dovevamo abusarne».

Le sue battute fulminanti sono passate alla storia. Come quando Rocca lo esonerò nel 1967 al telefono. Il presidente traccheggiava e allora Scopigno, capendo la mala parata esclamò alla cornetta: «Presidente si sbrighi, la mia minestra si sta raffreddando». Oppure quando venne squalificato per 15 giornate dopo aver insultato pesantemente un guardalinee, si consolò dicendo: «Sono contento, in tribuna la partita si vede molto meglio che dalla panchina».

Era una chioccia per i suoi giocatori. A Martiradonna che non venne mai convocato in nazionale disse: «Mario con quel cognome non sarà mai possibile». E di Niccolai difensore a Messico ’70 ebbe a ironizzare: «Mai mi sarei aspettato di vedere Comunardo in mondovisione». Ci scherzava su, ma sapeva che con quei giocatori aveva raggiunto un traguardo impensabile: uno scudetto che sarebbe passato alla storia.

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