Edmund Wilson, Raffaele Manica e gli specialisti della letteratura
MASSIMO ONOFRI. In un bellissimo articolo dedicato a Edmund Wilson, poi postato su Facebook, Raffaele Manica comincia dal pronome “io”: e ci spiega con grande eleganza in quanti e quali modi il...
MASSIMO ONOFRI. In un bellissimo articolo dedicato a Edmund Wilson, poi postato su Facebook, Raffaele Manica comincia dal pronome “io”: e ci spiega con grande eleganza in quanti e quali modi il mitico critico americano sapeva pronunciarlo.
Un articolo, aggiungo, da cui viene fuori un ritratto magistrale: limpidissimo, ma crespato di grande intelligenza, innanzitutto della vita.
Manica, poi, arriva a chiedersi quale fosse, in Wilson, il senso e il valore di quel suo infaticabile lavoro di divulgazione, convinto che «da un libro specialistico di gran mole non si impara nulla di più - forse si impara meno - che dalla somma divulgazione di un suo saggio di trenta pagine forti e tranquille».
A questo punto, arriva una delle sue memorabili digressioni, là dove, veloce e spericolato, Manica affronta le grandi questioni culturali, come qui quella dello specialismo. Ecco: «in letteratura, lo specialista è colui che si sottrae al movimento della vita, sacrificando a una scienza che non si sa dove abbia residenza».
Basta guardare lo studio della letteratura nelle nostre università: se è vero che gli specialisti, quando non sono asini impostori (ce ne sono), riconducono a reperto antiquario, a cosa morta, ciò che nasce e si giustifica solo in quanto resta in commercio con la vita. Il tradimento dei chierici.