Dylan stupisce ancora: all’Accademia di Svezia per ritirare il Nobel
Accetta il premio approfittando di due concerti a Stoccolma Sarà una riunione intima e nessun giornalista sarà presente
E alla fine Bob disse sì. Mettendo improvvisamente il suggello a una saga incredibile, fatta di falsi annunci e fake news, reazioni sdegnate dal mondo accademico e indiscrezioni di stampa, il Menestrello ha deciso di ritirare personalmente il premio Nobel dalle mani dei compassati professori dell'Accademia svedese. Rigorosamente da soli, faccia a faccia, e, beninteso senza i flash di telecamere e fotoreporter. Una cerimonia intima da incontro ravvicinato, questo week end a Stoccolma, nel mezzo di una infilata di concerti del suo “Never Ending tour” che approda nella capitale svedese il 1 e 2 aprile. Niente di più facile e strabiliante al tempo stesso per chi ha assistito indifferente – dall’annuncio di ottobre scorso a oggi – allo scorrere come fiumi di leggende e miserie. Cominciando da quelle di chi si è detto scandalizzato che cotanto riconoscimento andasse a un folksinger, o invece lo ha accusato di comportamento snob (l'annuncio del Nobel sul suo sito è comparso con diversi giorni di ritardo) vedendo nel suo ostinato silenzio un atto di disprezzo e sdegnoso rifiuto, letto persino da qualcun altro come beau geste rivoluzionario e antisistema. Niente di ciò. E nulla di nuovo per colui che il vate della Beat Generation, Allen Ginsberg, ha definito come il più grande poeta della seconda parte del ventesimo secolo. E che, come da copione, come negli anni Settanta ancora oggi suscita sentimenti sanguigni e contrastanti.
D’altra parte Bob Dylan è figura tra le più complesse e geniali. A iniziare dal grande, enorme, contributo dato alla canzone americana, resa con il suo lavoro universale. Lui che è figlio spirituale di Hank Williams e Woody Guthrie, nutritosi con i versi di poeti europei, da Rimbaud a Dylan Thomas (in suo onore Robert Zinnerman, 75 anni di Duluth, decise di prenderne il nome d'arte) come quelli a lui contemporanei della Beat Generation, da Burroughs a Ferlinghetti, è tuttora uno dei più lucidi e straordinari lettori dei nostri giorni tempestosi (per citare il titolo del suo ultimo album in studio, “Tempest” appunto), poeta della propria generazione, ma non solo. Ma anche interprete e testimone degli importanti cambiamenti avvenuti nel sociale e nel campo dei diritti. Tutti temi che si ritrovano nel suo sterminato songbook, fatto di lunghe canzoni, canti enunciati con una voce ruvida, presentati dal vivo in modo distaccato da anti divo, emblema di una radicalità e una forza artistica senza compromessi. Sono fatte di accordi semplici e un modo di cantare diretto capolavori come “Like a Rolling Stone”, “Blowin in the wind” e decine e decine di altre ballads. Brani che hanno lasciato il segno con una popolarità senza confini. Per Dylan lo scrivere testi è assolutamente inseparabile dalla musica. Poesia e suoni si intrecciano assieme, vivono una per l’altro. Ed è quella particolare alchimia che gli ha permesso in cinquanta anni di carriera di entrare nei cuori e nelle vite di milioni e milioni di persone.
D’altra parte un motivo ci sarà pure se gli è stata attribuita la medaglia d’oro del Nobel (e un guiderdone di 8 milioni di corone, circa 900 mila euro) per la letteratura? Il primo folksinger in assoluto e, come americano, a ruota della scrittrice Toni Morrison che l’aveva conquistato nel 1993. Sta tutto in quella formula di rito espressa dalla segretaria dell’Accademia Sara Danius, lo scorso ottobre. Cioè, a Dylan va il Nobel «per aver creato una nuova espressione d'arte poetica dentro il grande filone della canzone tradizionale americana».
Poche linee chiare e precise. Ma basteranno per mettere a tacere le nuove polemiche che torneranno a soffiare? Come quella sollevata mesi fa da Alessandro Baricco («che c’entra con la letteratura?» si chiese allora lo scrittore piemontese). Ma Don Lillo, grande escluso dai Nobel e ultra favorito tronca : «Dylan lo merita. E’ un grande artista e ha raccontato il suo tempo come pochissimi altri».
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