La Nuova Sardegna

La grazia di Santa Lucia può ancora salvare la bellezza Un piccolo paese della Baronia minacciato da un’idea sbagliata di sviluppo economico

di GIORGIO TODDE
La grazia di Santa Lucia può ancora salvare la bellezza Un piccolo paese della Baronia minacciato da un’idea sbagliata di sviluppo economico

Scrive Werther all’amico: «C’è da impazzire, Guglielmo… ricorderai gli alberi di noce sotto i quali mi sedetti con Carlotta nel cortile del vecchio parroco… ieri li hanno abbattuti… è stata lei, la...

27 maggio 2017
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Scrive Werther all’amico: «C’è da impazzire, Guglielmo… ricorderai gli alberi di noce sotto i quali mi sedetti con Carlotta nel cortile del vecchio parroco… ieri li hanno abbattuti… è stata lei, la moglie del nuovo parroco… una matta che si dà arie di sapiente… Figurati… diceva che le foglie cadute le insudiciavano il cortile, che gli alberi le toglievano la luce...». Era il 1774, ma sembra il mondo di oggi e dunque anche la Sardegna, dove essere albero è rischioso. Ma anche essere spiaggia, golfo, insenatura, bosco, monte. E anche essere paese o città è azzardato perché in due secoli la moglie del parroco si è moltiplicata.
LA MEMORIA. Quando, con La Nuova, il mio “Viaggio in Sardegna”, ormai più di un decennio fa, iniziò, non c’era nell’aria il Piano paesaggistico e le mogli del parroco, ma anche i parroci, sedevano – e siedono – nei consigli regionali e comunali. Quel Piano segnò un’idea di Sardegna, l’ultima di cui si abbia memoria. Non si trattava della questione stantia tra passatisti e futuristi. Si trattava della differenza tra perdere memoria oppure conservarla, tra avere o non avere leggi. E il caravanserraglio “sviluppista” si fermò. Ma gli “sviluppisti” rinvengono di continuo, magari travestiti da cavalieri della sostenibilità. E oggi, a undici anni di distanza dal Piano, i tentativi di indebolire le regole hanno ripreso energia in tutto il Paese. C’è sempre qualcuno che preferisce Barabba a Gesù.
Però il Piano paesaggistico resiste. Così il mio nuovo “Viaggio” ricomincia da un luogo della speranza, Santa Lucia, un borgo marinaro che ha rappresentato per più di un secolo un’idea di bellezza e semplicità, disegnata con il tratto di un bambino garbato che a ogni stradina ha assegnato almeno un lembo di cielo e mare.
FONTE BATTESIMALE. Santa Lucia è il fonte battesimale di Siniscola, il luogo dello spirito che resiste a chi spaccia cemento. Oggi il lungomare di Santa Lucia, dove l’unica ombra è quella dei pali della luce, è un’allegoria avvilente della degenerazione “sviluppista”. Sradicati gli alberi, hanno piantato pali patibolo e hanno trasformato un lungomare in periferia squallida. Ma nonostante la bruttezza del “nuovo” a Santa Lucia si distinguono ancora bellezza e valore. La torre si sfalda, però la mole non cede ai “riqualificatori”. E tocca riqualificare la riqualificazione.
Certo, il pericolo è nei pensieri e nelle azioni delle persone, ma è anche in uno strumento detto, con suono soave, Puc. Il Piano urbanistico di Siniscola nasce male per un falso presupposto, ossia una aspettativa esagerata di crescita della popolazione. Nel paese i figli alla patria aumentano solo un po’, ma di metri cubi ne hanno previsto molto più di quelli che servono. Altro cemento – e ne basterebbe poco – e Santa Lucia si dissolverebbe in una dozzinale poltiglia urbana.
MERAVIGLIE DISTRUTTE. Un poeta locale scrive che Siniscola è mutata in tre decenni: «Chie trint’annus faghet at fattu vola / A l’idere oe non paret Siniscola». A vederla oggi non sembra Siniscola, dice. E’ perfino orgoglioso che non si riconosca più. Un poeta dello sviluppo. E declama un’idea di “progresso” per la quale è necessario cancellare il passato, vergognandosene perché inadeguato alla “modernità”. E’ accaduto in tanti paesi della Sardegna e questi due versi lo raccontano alla perfezione. Ma se avessero fatto allo stesso modo gli abitanti di quei borghi lontani dall’isola che oggi cerchiamo perché conservati nei secoli? E se quelle comunità che li hanno custoditi avessero – come abbiamo fatto dalle nostre parti – distrutto le meraviglie che racchiudevano le loro origini?
Chi è contento perché la propria patria non si riconosce più si condanna a un conflitto doloroso con le proprie origini. E magari raccoglie fotografie del passato mitizzandolo anche se lo ha cancellato con le proprie mani. Magari ammira un borgo medievale sull’Appennino mentre da queste parti distrugge casa propria considerata un vecchiume imbarazzante. Non si cambia quello che si ama davvero.
VESTE SEMPLICE. Ma Santa Lucia, anche se maltrattata, conserva la sua veste semplice e frugale. E sembra ancora lei. Intorno, costa intatta, macchia, pinete profumate, spiagge, dune abbaglianti, acqua trasparente come l’aria. Un’immensa, durevole ricchezza. E “s’isviluppu”, dice il poeta ammirato, con “sas domos sun finas a mare”? Un profeta della nuova legge urbanistica. Ma questi pini, ginepri, questa sabbia, questo mare perfetti?
UNA LISTA DI EX. Eh, la sabbia, i pini, la macchia, la semplicità di Santa Lucia hanno un valore immenso, spirituale e anche economico. Il mondo cerca l’intatto, il conservato. L’economia del bello. E poi, quante ex costruzioni da rendere vive. Ex colonia a capo Comino, ex caserma dei carabinieri, ex scuole, ex fabbriche. Tutta una serie di ex luoghi che si possono rendere di nuovo luoghi. E’ l’unico modo per salvarsi dall’orrore di nuovi alberghi che, invece, i luoghi li annientano, li rendono irriconoscibili e li impoveriscono per sempre. Una fascia costiera fatta di alberghi conduce alla rovina perché si perdono in un colpo solo la relazione identità-luoghi che ci tiene vivi, si scialacqua un patrimonio irripetibile, si arricchiscono in pochi e si impoveriscono in tanti. Dovrebbe bastare l’enorme quantità di alberghi chiusi quasi tutto ‘anno.
OSTINAZIONE. Ma i pinocchietti isolani non imparano mai. L’idea violenta che il creato è lì per noi è ben rappresentata nei Puc. E anche il disegno di legge urbanistica della Giunta regionale è intriso di questa concezione anacronistica, bocciata dai fatti e dai tribunali. Le nostre comunità, ostili a se stesse, possono farsi male da sole, come hanno già fatto con ostinazione ottusa.
Però Siniscola, anche se toccata da scandali e accuse, possiede una certa cognizione del tesoro che le è capitato. E forse saprà vincere l’avidità di pochi, esercitare una protezione amorevole, costante dei luoghi e delle persone. Butterà a mare il suo Puc. E saprà produrre un’economia proporzionata ai bisogni reali, centrata sulle sue radici.
ISTINTO ANCESTRALE. Lo “sviluppismo” è un istinto ancestrale, abbaglia i deboli di identità, produce dipendenza, è un’illusione crudele. Lo “sviluppismo” Acceca e confonde. E come i poveri alla mensa del conte, gli “sviluppati” si ritrovano in una condizione umiliante di dipendenza e soggezione. Intrappolate tra l’incubo dei metri cubi di San Teodoro e la “sviluppite” acuta di Orosei, oggi Siniscola e la vicina Posada possono liberare da un’ideologia malata questo lembo di terra appartato E bellissimo chiamato Baronia. Che sarà moderna soltanto se salda sulle sue radici.
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