La Nuova Sardegna

In difesa della dignità umana Il cinema secondo Béla Tarr 

di Fabio Canessa
In difesa della dignità umana Il cinema secondo Béla Tarr 

Il grande regista ungherese, ad Alghero per il Sardinia Film Festival, si racconta Dagli esordi al ritiro, dalla scelta degli interpreti all’importanza delle location 

30 giugno 2017
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ALGHERO. Il colore verdeazzurro degli occhi mette in evidenza uno sguardo di una profondità che si potrebbe paragonare alla maestosità di alcune delle sue meravigliose inquadrature a campo lungo, tra le caratteristiche del suo cinema. Profondità che si ritrova anche nelle parole di Béla Tarr, pur essendo il regista ungherese abituato a parlare soprattutto con le immagini. Il maestro di Pécs ha dimostrato ancora una volta la sua sensibilità - dote necessaria per fare cinema in un certo modo, ma che non si può insegnare («In fondo è come una condanna ricevuta da Dio, perché fa soffrire molto») - ad Alghero, dove ieri è stato grande protagonista a Lo Quarter del Sardinia Film Festival organizzato dal Cineclub Sassari. In serata una masterclass di regia e la cerimonia per il premio alla carriera, dopo una mattinata passata con i giornalisti presenti a parlare del suo lavoro e non solo.

LA SCELTA DEGLI ATTORI

Per ogni regista la fase del casting rappresenta uno degli aspetti più importanti nella preparazione di un film. Non fa eccezione il maestro ungherese che spesso ha scelto attori non professionisti per le sue opere: «Per me non c’è differenza tra un’interprete come Tilda Swinton (nel cast di “L’uomo di Londra”, ndr) e una che non ha mai recitato. Non cerco mai attori, ma personalità vere. Metto i protagonisti in una situazione e dico loro che non devono recitare, ma vivere quella situazione per restituirla in maniera autentica. Mi interessano le loro reazioni personali, non che interpretino un ruolo. Per questo non ha senso usare una sceneggiatura». Un modo di fare cinema certamente non tradizionale, con il quale diventa necessario conoscere bene tutti quelli con i quali si lavora. «Per instaurare un rapporto di fiducia, di confidenza - spiega Béla Tarr - devo andare a bere con loro, ascoltare i loro problemi, lasciarli piangere sulla mia spalla».

L’lMPORTANZA DEI LUOGHI

I personaggi, i volti delle persone, la storia. Aspetti fondamentali in un film, ma non gli unici. Basta vedere i lungometraggi del regista ungherese per capire quanto siano importanti per lui altri elementi. A partire dai luoghi: «In un film - precisa - tutto è importante. Certo quello che fanno i personaggi è la prima cosa che cattura l’attenzione, ma è altrettanto importante dove lo fanno perché i luoghi sono dei protagonisti. Per questo sono sempre andato a cercare le location personalmente».

DAL LIBRO AL FILM

Non lavora da solo però Béla Tarr e la sua carriera è segnata da collaborazioni fondamentali. Tanto che nelle risposte usa sempre il noi, comprendendo il compositore Mihály Víg, la moglie e co-regista Ágnes Hranitzky, lo scrittore e sceneggiatore László Krasznahorkai. Di quest’ultimo ha adattato alcuni libri. Tra questi “Satantango”, il suo capolavoro: «Non mi piace parlare di adattamento, si tratta di un’interpretazione diversa della stessa realtà partendo dall’ispirazione che arriva dal libro. Da lì cerco di creare la mia visione della realtà che lui ha trasformato in letteratura. Non è difficile perché in fondo vediamo le cose più o meno allo stesso modo».

LA RABBIA GIOVANE

Parlando del passato si passa a questioni di stile, come l’utilizzo del bianco e nero che caratterizza gran parte della sua produzione («dalla metà degli anni Ottanta Kodak ha cambiato materiale della pellicola e da allora non ho più sopportato i film a colori»), ai ricordi legati agli esordi quando poco più che ventenne ha diretto “Nido familiare”, il suo primo lungometraggio: «Lo abbiamo girato in cinque giorni, con un budget che si potrebbe paragonare oggi a 5mila euro. Avevo tanta energia ed ero molto arrabbiato. Quello che vedevo al cinema non mi piaceva, mi suonava tutto falso. Il mondo presentato non era quello vero, che vedevo intorno a me. Quello dove la dignità umana viene stuprata ogni giorno. Ho sempre lottato per far rispettare la dignità umana».

IL FUTURO DEL CINEMA

Nel 2011, dopo “Il cavallo di Torino”, Béla Tarr ha annunciato il ritiro dalle scene come regista. Da allora si è dedicato soprattutto ai giovani, creato una formidabile factory che ha messo in relazione ragazzi con altri grandi cineasti come Carlos Reygadas e Apichatpong Wheerasethakul. “Non educazione, ma liberazione” il motto della factory: «Dico sempre ai giovani - sottolinea il regista ungherese - di essere se stessi, più radicali e coraggiosi. Le regole non valgono più, bisogna oltrepassarle».

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