La Nuova Sardegna

1969. Lo sbarco sulla Luna: quando il futuro entrò in redazione

di Bruno Merella
Neil Armstrong davanti alla bandiera americana piantata sulla superficie lunare
Neil Armstrong davanti alla bandiera americana piantata sulla superficie lunare

L’avventura del programma spaziale della Nasa portò una ventata di novità anche  alla Nuova Sardegna. Il racconto di un protagonista

03 dicembre 2021
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Tin! tin! tin! tin! … un coro di martellanti campanelli di allarme irrompe nel frastuono sferragliante delle stampanti meccaniche. Le 6 telescriventi della Nuova Sardegna annunciano una notizia di estrema importanza. Sono le 22.17 e il Lem di Armstrong e Aldrin si è adagiato sul suolo lunare. Lo sbarco sul pianeta segna il trionfo degli Stati Uniti nella gara alla conquista dello spazio e segna nel nostro giornale una tappa importante nel percorso di crescita professionale. Per milioni di Italiani l’avventura lunare dell’uomo è associata al viso del giornalista (cagliaritano) Tito Stagno che conduceva la storica diretta televisiva. Per me è legata al “tin! tin! tin!” delle telescriventi. Scaturisce vivo e rumoroso dal territorio di confine – tra realtà e “dormiveglia” – dei ricordi di mezzo secolo fa. L’allunaggio dava il via finale alla stampa dell’inserto del giornale che avevo preparato con soluzioni grafiche rivoluzionarie per La Nuova dell’epoca. Anche la prima pagina era di una modernità assoluta. Una grande immagine e un titolo cortissimo “SULLA LUNA!”. Un’impostazione oggi di routine.

Mentre l’uomo si preparava a porre i piedi sul suolo lunare nel nostro giornale Angelo Cafiero, il burbero tipografo responsabile del reparto stampa, terminava gli ultimi controlli prima di avviare l’assordante “transatlantico” d’epoca: la rotativa. Era una parte della macchina da stampa del Popolo d’Italia di Mussolini che La Nuova aveva acquistato dal Giorno quando il quotidiano milanese dell’Eni aveva avviato un programma di modernizzazione.

A Sassari, al contrario, si era consolidata l’impostazione assolutamente “ottocentesca” della tipografia. Tutto era affidato al piombo: dalle righe fuse dalle linotype, ai caratteri mobili dei titoli, alle lastre della stereotipia. Lo zinco era, invece, il materiale di base dei cliché che emergevano dalle vasche di acidi. Ogni sera giornalisti e tipografi impaginavano assieme, schierati in un lunghissimo bancone. In quella fase stima e vera amicizia rinsaldavano i rapporti tra le due categorie.

Era questo il giornale che il primo agosto del 1963 (a poco più di un mese dalla promozione all’esame di maturità) divenne la mia scuola di giornalismo e di vita. Proprio nell’anno in cui nasceva l’Ordine dei Giornalisti. Direttore era, formalmente, l’avvocato Arnaldo Satta Branca, (che aveva rifondato La Nuova dopo la caduta del fascismo) ma sul ponte di comando c’era ogni giorno il redattore capo Aldo Cesaraccio. In realtà il giornale era confezionato dai giovani e validi capiservizio che si limitavano ad informarlo sui contenuti. Cesaraccio, infatti, era interamente assorbito dalla rubrica “Al Caffè” («la mia condanna quotidiana» diceva con malcelato orgoglio). Nella Sassari dell’epoca, un “piccolo mondo” politicamente molto vivace, gli scritti di Frumentario ( questa era la firma) avevano un peso importante. I tempi cambiavano sempre più rapidamente, ma il giornale rimaneva fermo nella sua arcaica impostazione.

Fu in questo periodo che proposi la realizzazione di una pagina periodica dedicata alla Scienza ed il progetto fu approvato. Fu un successo, subito condiviso dalla Pagina dei Giovani di Alberto Pinna e dalla Pagina dei Motori di Eliseo Sirigu. All’epoca non c’erano (alla Nuova) grafici e l’ impaginazione la curavamo noi disegnando i menabò. Furono questi i primi passi verso un rinnovamento della veste grafica. Nel 1967 con l’acquisto del giornale da parte della Sir di Nino Rovelli sognammo per un breve periodo che l’avanzatissima industria petrolchimica avrebbe modernizzato il giornale…

Il confronto Usa-Urss, aperto il 4 ottobre del 1957 con il lancio del piccolissimo Sputnik sovietico, si avviava, intanto, verso la spettacolare conquista della Luna. I progressi del progetto americano erano puntualmente resi pubblici dall’Usis, il Servizio di informazioni degli Stati Uniti che Eisenhower nel 1953 (appena eletto presidente) aveva voluto, trasformando il Servizio di informazioni che per anni aveva diffuso le notizie dai campi di battaglia della guerra mondiale.

Con l’Usis avevo stabilito un canale privilegiato e ricevevo continuamente notizie, foto e disegni. La pagina della scienza conquistava sempre nuovi lettori. La gara nello spazio attenuava la drammaticità della guerra fredda e sembrava promettere un futuro di pace e di sicuro progresso. L’ottimismo dei “favolosi anni 60” aveva scolorito il ricordo della guerra… Lo storico allunaggio, invece, non impressionò per nulla Cesaraccio che nel “Caffè” di quei giorni cita l’impresa di Armstrong e Aldrin ma soltanto per confrontarla con le disavventure di un cittadino alle prese, a Sassari, con la burocrazia. Negli stessi giorni Mesina in Corte d’assise si difendeva al processo per lo scontro a fuoco di Osposidda con la polizia (50 anni dopo Grazianeddu è ancora sulle pagine dei giornali). Gli anni 70 erano alle porte e all’Università nasceva la Facoltà di Scienze politiche, dove emigrammo in massa – lasciando Giurisprudenza – noi studenti lavoratori. Ci sembrò che, finalmente, Sassari avesse superato il recinto della sua dimensione provinciale, grazie anche al contributo di docenti di fama. I capelli si allungarono, indossammo pantaloni a zampa di elefante e sulla spalla poggiammo l’odiato borsello. Ma l’ottimismo regalatoci dalla gara nello Spazio cominciò ad attenuarsi. Al giornale il braccio di ferro con la Sir si trasformò in una guerra senza esclusione di colpi.

Non potevamo conquistare la Luna e andammo via.



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