La Nuova Sardegna

Da Macbettu a Cechov: Serra stupisce ancora

di Roberta Sanna
Da Macbettu a Cechov: Serra stupisce ancora

Dall’autore della pluripremiata rilettura in sardo del dramma di Shakespeare una convincente rivisitazione di un altro grande classico, “Il giardino dei ciliegi”

12 novembre 2019
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CAGLIARI. Un chiacchiericcio indistinto precede i personaggi sulla scena appena illuminata. Sono sagome in chiaroscuro che trovano posto tra sedie e valigie. Si sdraiano a terra tra sommesse risate finché la fiamma di una lampada fa luce e li zittisce. Come chiamati da un rito antico, un segreto svago infantile abiteranno ancora una volta la stanza dei giochi indicata da Cechov nella prima scena de “Il giardino dei ciliegi”, faranno rivivere nel trascolorare di luce e del passare del tempo la vicenda della famiglia aristocratica russa dei primi del ‘900 che sintetizza tra l’arrivo iniziale e la partenza finale l’addio ad un mondo che non ci sarà più. Il giardino dei ciliegi sta per essere messo all’asta, il patrimonio è già stato dilapidato, e il ritrovarsi nella tenuta di famiglia non è un tentativo di opporsi all’ineluttabile decadenza di quel mondo e ai cambiamenti sociali, ma ha il senso profondo di esistenze che si attardano ancora un poco, come bambini nei giochi, nelle memorie, nei sogni, rimandando le azioni ad un futuro radioso che forse non vedranno.

Nell’allestimento prezioso e nitido di Alessandro Serra – in programma sino al 16 al Teatro Massimo dopo la prima nazionale di sabato scorso – è questa stanza dei giochi il teatro in cui far agire i personaggi, ed è anche il teatro stesso. Tra le pareti nude e grigie – che solo nel finale si tingeranno d’oro luminoso – sfondo e velario propizio ad ogni immaginazione, dove tutto è reale e come un sogno, il palcoscenico quasi sempre sgombro, se non per poche suppellettili rimaste da un abbandono che pare già avvenuto, si trasforma in un album di foto di famiglia e in certe immagini della memoria abitate da silhouette che appaiono nette sullo sfondo e sembrano proiettarsi fuori prendendo vita, come se avessero atteso tra le pareti in una forma indelebile che ora in carne ed ossa potesse ripetere le stesse azioni, ripercorrere quella storia specifica ed insieme universale. In questa essenzialità evocativa la semplicità complessa di Cechov trova spessore e leggerezza, Serra percepisce e trasmette quella musica segreta insita nell’opera con un realismo che si fa quasi immateriale, mai elegiaco, nella verità di ogni esistenza che se pur effimera non è meno vera, delicata, preziosa. La stanza dei giochi è per i personaggi una stanza delle meraviglie. E mentre ripercorrono le loro esistenze e gli ultimi atti prima dell’addio al giardino e alla casa, vengono impegnati in azioni fisiche corali, si inseguono in cerchio, giocano a moscacieca, al ballo della sedia, si sorprendono per le magie e i giochi di prestigio, si chiudono in un armadio per percepirne la vita passata, si divertono nei valzer o con lampade e ombre, ombrellini, armi e strumenti musicali, cantano evocando l’orchestrina ebraica della festa in attesa dell’asta.

Questa intuizione registica, che mette al centro il “risvegliarsi degli organi misteriosi dell’infanzia non ancora del tutto spenti nella loro funzione vitale” – come scrive Serra nelle note di regia – si scopre struttura splendidamente funzionale a restituire nella messinscena tutte le sfaccettature dell’opera. Le monomanie dei personaggi, la loro inerzia di fronte alla realtà, gli aspetti comici – Cechov non era d’accordo con chi chiamava dramma quel che riteneva una commedia – i dialoghi fra le diverse solitudini, in cui ciascuno sembra mormorare o declamare inascoltato crucci e desideri.

Meritati gli applausi finali che sono stati generosi e sentiti e premiano il lavoro registico e quello corale degli interpreti tutti da citare con elogio: Valentina Sperlì / Ranevskaja, la proprietaria, Marta Cortellazzo Wiel / Anja, sua figlia, Petra Valentini / Varja, la figlia adottiva, Fabio Monti / Gaiev, il fratello, Leonardo Capuano / Lopachin, mercante, Felice Montervino / Petr Trofimov, studente, Massimiliano Poli / PišPiščik, proprietario terriero, Chiara Michelini / Carlotta, governante, Massimiliano Donato / Epichodov, contabile, Arianna Aloi / Duniaša, governante, Bruno Stori / Firs, il vecchio maggiordomo, Andrea Bartolomeo / Jaša, giovane lacchè e viandante.

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