La Nuova Sardegna

Grazia Deledda, ritratto dell’artista da giovane

SILVIA LUTZONI
"S'Isposa", collage di Edina Altara del 1919 (collezione Man) usato nella copertina del volume di Grazia Deledda
"S'Isposa", collage di Edina Altara del 1919 (collezione Man) usato nella copertina del volume di Grazia Deledda

“Tutte le novelle” della scrittrice nuorese: il secondo volume pubblicato dal Maestrale

08 dicembre 2019
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È in libreria il secondo volume (1919-1939) di “Tutte le novelle” di Grazia Deledda (Il Maestrale, Nuoro, euro 14,90) con la prefazione di Rossana Dedola e la curatela aggiornata di Silvia Lutzoni. Pubblichiamo una parte della nota biografica

«Avrò fra poco vent’anni; a trenta voglio aver raggiunto il mio radioso scopo quale è quello di creare da me sola una letteratura completamente ed esclusivamente sarda». Non importa cosa intendesse per letteratura sarda Grazia Deledda in questa lettera del 1890 a Maggiorino Ferraris. Ciò che è chiaro è che la scrittrice nuorese, allo scoccare del suo trentesimo anno nel 1901, poteva dire di aver raggiunto tutti i suoi obiettivi, quando è vero che la sua opera includeva già alcune prove poetiche, un gran numero di novelle, fiabe e racconti per ragazzi, e ben sette romanzi, ultimo tra i quali quell’Elias Portolu – appena uscito sulla “Nuova Antologia” e rieditato nel 1903 dalla Roux e Viarengo di Torino – che l’aveva definitivamente accreditata tra le maggiori autrici italiane, e tra le più apprezzate all’estero (già La via del male, romanzo del 1896, era stato accolto con favore dalla critica e dal pubblico francese). Quinta di sette fratelli e sorelle, Grazia Deledda nacque in una famiglia benestante il 27 settembre 1871 a Nuoro. Qui frequentò le scuole elementari fino alla quarta, e soltanto intorno ai tredici anni prese dieci o dodici lezioni private di italiano e francese, incoraggiata da suo fratello Andrea, lo stesso che negli anni dell’adolescenza l’avrebbe condotta a cavallo nelle tancas ad ascoltare le leggende raccontate dai pastori che avrebbero alimentato la sua scrittura. La giovane non tardò ad accorgersi che la scrittura avrebbe potuto costituire una valida strategia di affrancamento in una società che alle donne non concedeva molto. Cominciò così a scrivere e a collaborare regolarmente con alcune tra le più autorevoli riviste dell’epoca: la sua prima novella, Sangue sardo, uscì su “L’ultima moda”, e il suo primo romanzo, Stella d’Oriente (che firmò con l’esotico pseudonimo Ilia di Sant’Ismael, cui era però solita affiancare tra parentesi il suo vero nome), fu pubblicato nel 1890 a puntate nell’ “Avvenire di Sardegna”. Del 1891 è il primo numero di “Vita sarda”, rivista che la vide da subito tra i suoi collaboratori, e che ebbe, secondo Giovanna Cerina, non poca importanza nella formazione di Grazia Deledda: innanzitutto per la vastità e varietà dei temi in essa discussi, e inoltre per le numerosissime notizie bibliografiche che dovettero fornire alla scrittrice un quadro esaustivo del mercato editoriale italiano. Fu proprio in questo momento che la scrittrice avviò la sua fitta rete di corrispondenze per promuovere la sua opera e trovare appoggi e pubblico (celeberrima è quella con Ruggero Bonghi, definita da taluni al limite della supplica, per ottenere la prefazione al romanzo Anime Oneste), ricorrendo talvolta persino all’espediente di sottrarre qualche anno alla sua vera età al fine di avvalorare l’idea della precocità della sua vena artistica. Dalla più remota provincia italiana Grazia Deledda mise in atto insomma una strategia di emancipazione che le avrebbe garantito il successo al di fuori di un’isola che si era sempre dimostrata ostile nei suoi confronti e che, anche per questo motivo, era pro nta ad abbandonare. Sebbene a Nuoro le fosse stato pronosticato un futuro da nubile a causa delle sue velleità artistiche e dei troppi libri letti, dopo una serie di corrispondenze avviate con alcuni fidanzati, non importa se effettivi o meno, tra i quali il giornalista Stanis Manca, Grazia Deledda nell’ottobre del 1899, durante un soggiorno a Cagliari a casa di Maria Manca, sua amica e direttrice del quindicinale «La donna sarda», conobbe Palmiro Madesani, un impiegato del Ministero delle Finanze mantovano (di Cicognara, per la precisione), che la conquistò facendo leva su un punto particolarmente dolente per la scrittrice nuorese, quello del suo aspetto fisico. Nel gennaio del 1900 si celebrò a Nuoro il loro matrimonio e a marzo i due si trasferirono a Roma dove Grazia Deledda era riuscita a far trasferire Madesani. Qui nacquero i suoi due figli, Sardus (1900) e Franz (1903), mentre continuò a scrivere pubblicando con una media di un romanzo all’anno, e a condurre al contempo una vita relativamente appartata, frequentando Giovanni Cena, la compagna Sibilla Aleramo e tutto il gruppo di intellettuali, pittori, pedagogisti, medici e infermiere impegnati a favore dei contadini poveri dell’Agro romano. Altre occasioni mondane furono le vacanze, prima a Viareggio poi a Cervia, dove ebbe modo di frequentare, fra gli altri, Marino Moretti e Giacomo Puccini. Nel 1927, grazie anche all’intercessione di Carl Bildt, ambasciatore di Svezia in Italia e membro dell’Accademia di Svezia, il quale la stimava come donna e come letterata, Grazia Deledda fu insignita del Premio Nobel per la letteratura, un riconoscimento che fu ancora più significativo se si considera che la scrittrice fu la seconda donna a riceverlo dopo Selma Lagerlöf, e la seconda italiana dopo Carducci. Non è chiaro che tipo di rapporto avesse Grazia Deledda con la politica del tempo, ma è vero tuttavia che la scrittrice in seguito all’assegnazione del Nobel dovette incontrare ufficialmente Mussolini: un’incombenza della quale si dichiarò tutt’altro che entusiasta per via del suo carattere schivo. Le cronache raccontano, però, che durante quell’incontro avvenne un fatto che non fu privo di conseguenze. Le fu domandato infatti di scrivere «qualcosa per il Regime», ma la scrittrice non esitò a declinare l’invito, rispondendo piccata che «l’arte non ha politica ». Fu l’editore Treves a rivelare a Grazia Deledda che da quel momento i maggiori librai avevano ricevuto il consiglio di non esporre in vetrina i suoi libri per non dare ulteriore rilievo alla scrittrice che non si era allineata. Fu in seguito a questo evento che firmò il contratto con il Corriere della sera, dove avrebbe cominciato a scrivere i suoi elzeviri per un compenso di mille lire al mese.

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