La Nuova Sardegna

Sironi, la ricerca implacabile della verità

di SONIA BORSATO
Sironi, la ricerca implacabile della verità

In edicola il nono volume della collana “Storia di Sardegna” dedicato all’artista e curato da Lorella Giudici

12 dicembre 2019
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La Sardegna vanta un’unica Accademia di Belle Arti ed è dedicata a Mario Sironi. Omaggio doveroso visto il ruolo di prima importanza rivestito nel panorama culturale del Novecento.

Figura complessa e poliedrica dalla produzione intensissima e multiforme, nasce a Sassari nel 1885. Nel 1886 la famiglia si trasferisce a Roma dove Mario compie la sua formazione frequentando l’Istituto Tecnico e iscrivendosi nel 1902 alla facoltà di Ingegneria. È in questa fase che inizia a manifestarsi un disagio esistenziale che lo accompagnerà tutta la vita. Un primo episodio depressivo lo porta ad abbandonare l’Università per dedicarsi esclusivamente alla pittura.

AMICO DI BOCCIONI. Frequenta la Scuola Libera del Nudo in via di Ripetta dove conosce Gino Severini, Giacomo Balla e soprattutto Umberto Boccioni, che diventa amico carissimo. Proprio i diari e le lettere di Boccioni ci restituiscono la complessità della geografia interiore di Sironi e la frequenza delle crisi interiori che lo costringono a una vita ritirata, dedita al lavoro. La produzione di questo periodo, pur caratterizzata da memorie divisioniste, appare sorretta da una vocazione plastica che rivela la metabolizzazione della lezione di Cézanne. Si avvicina al movimento futurista; nel 1914 entra nel gruppo dirigente pur portando avanti una ricerca autonoma e coerente, sempre focalizzato sull’interpretazione volumetrica e sedotto da una tavolozza che va essenzializzandosi su toni scuri, terrosi, che rinsaldano la solidità costruttiva dell’immagine.

LA GRANDE GUERRA. Nel 1915 scoppia la guerra e come tutti i futuristi si arruola nel Battaglione Volontari Ciclisti. Il conflitto ha un’eco profondo in Sironi, come si vede nella produzione presentata alla Grande Esposizione Nazionale Futurista che si tenne a Milano nel 1919. Pur non avendo concluso l’esperienza futurista, nuove suggestioni metafisiche ne pervadono la pittura, come si evince nella personale tenuta, sempre nel 1919, a Roma, alla Casa d’Arte Bragaglia.

SVOLTA MILANESE. Si trasferisce a Milano dove maturano i “Paesaggi urbani”, esposti per la prima volta nel 1920 alla Galleria Gli Ipogei di Milano, lettura tutt’ora attualissima delle periferie esistenziali rese con asciutta volumetria. Pur nella consapevolezza della fatalità della vita, Sironi infonde alle composizioni un senso di grandiosità e potenza intendendo la costruzione in senso etico. Proprio la spinta etica è la chiave per leggere l’avvicinarsi al fascismo, adesione che negli anni Trenta si concretizza in opere di contenuto ideologico e che condiziona spesso il giudizio sulla sua produzione. Per Sironi il fascismo significa due cose: il sogno di una rinascita dell’Italia; l’ambizione di “andare verso il popolo”, concretizzata in un’arte destinata a tutti. Arturo Martini aveva ben inteso questa attitudine sociale del fare sironiano definendo il suo un “fascismo di sinistra”.

CON MUSSOLINI. Sotto la direzione di Mussolini, dal 1922 collabora con il Popolo d’Italia, accrescendo la già intensa attività da illustratore. Nello stesso anno nasce il gruppo dei Sette Pittori del Novecento, ribattezzato poi Novecento Italiano, con la proposta di un ritorno all’ordine. Si susseguono incarichi e riconoscimenti: nel 1928 partecipa alla XIV Biennale e cura l’allestimento del padiglione italiano per la mostra “Pressa” a Colonia e il padiglione de “Il Popolo d’Italia” alla Fiera di Milano; nel 1930 fa parte del direttorio della IV Triennale di Monza e realizza l’allestimento della “Mostra delle Arti grafiche”; nel 1931 ha una sala personale alla prima Quadriennale nazionale d’arte di Roma. Sempre nel 1931 esegue i cartoni per la prima commissione pubblica, la vetrata del ministero delle Corporazioni a Roma, che ha per tema “La carta del lavoro”. Inoltre viene incaricato di dipingere due teleri, “L’agricoltura” e “L’architettura” per il Palazzo delle Poste a Bergamo.

UTOPIA EGUALITARIA. Da questo momento Sironi si dedica prevalentemente alla grande decorazione vedendo nella pittura murale un’utopia egualitaria, un’arte sociale che, slegandosi dal possesso individuale, stimola la committenza dello Stato, come riflette in “Pittura murale” del 1932 e in “Manifesto della pittura murale “del 1933. Il resto del decennio lo vede impegnato in una lunga serie di lavori monumentali: l’affresco “Il lavoro” o “Le opere e i giorni” al Palazzo dell’arte di Milano; l’affresco “L’Italia fra le arti e le scienz”e nell’aula magna de La Sapienza di Roma; i mosaici “La Giustizia tra la Verità, l’Impero e il Fascismo” per il Palazzo di giustizia di Milano; il mosaico “L’Italia corporativa” poi collocato nella sede milanese del “Popolo d’Italia”; l’affresco “L’Italia, Venezia e gli Studi” nell’Aula Magna dell’Università di Ca’ Foscari a Venezia; i cartoni per la vetrata dell’Annunciazione per la cappella dell’Ospedale Niguarda a Milano; gli affreschi “Rex Imperator e Dux” nella Casa madre dei mutilati e invalidi di guerra a Roma.

DRAMMA INTERIORE. Intanto l’Italia è coinvolta in un secondo conflitto mondiale e Sironi aderisce alla Repubblica di Salò. Sempre più provato interiormente, vive la fine del regime come un terribile fallimento. Non smette di lavorare ma la pittura rivela il dramma interiore dove alla disfatta politica si somma la tragedia familiare (il suicidio della figlia di appena 18 anni): sul piano iconografico rinnova radicalmente il proprio linguaggio, dando vita a una nuova, drammatica visione del mondo dove l’energia costruttiva sembra sostituita da una frammentarietà delle forme e un attenuarsi della sintassi compositiva. Non è un caso che uno degli ultimi lavori sia dedicato all’Apocalisse, ciclo dominato da un sentimento dolente, con tormentate visioni interiori, paesaggi straziati, nudi scarni governati un’austera gravità e una tavolozza densissima che si restringe a una gamma di grigi.

Uno sguardo fermo e lungimirante sul dispiegarsi di questo Novecento che Sironi attraversa interessato a rimodulare il passo di una società che andava mutando valori e portata esistenziale. Pur ottenendo notevole riscontro professionale (si inanellano infatti le esposizioni nazionali e internazionali e nel 1956 è eletto Accademico di San Luca) Sironi è soffocato da un sempre più presente maldivivere a cui si aggiungono problemi di salute. Muore a Milano nel 1961 lasciando un’eredità intensa, implacabile, che sa ancora guardare negli occhi l’umanità spogliandola dei suoi falsi miti.

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