La Nuova Sardegna

La Sardegna di Giuseppe Dessì: scrigno di storie

di Dino Manca
La Sardegna di Giuseppe Dessì: scrigno di storie

In edicola il volume dedicato all’autore di “Paese d’ombre”: un romanzo familiare e di formazione con una forte connotazione biografica

17 gennaio 2020
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Con “Paese d’ombre”, pubblicato nel 1972 da Mondadori, Dessì concluse la sua parabola letteraria e artistica (La scelta, incompiuto, fu pubblicato postumo). La materia del romanzo, che vinse il premio Strega e ottenne un largo successo di pubblico, si compone di cinque macro-unità narrative, ognuna delle quali corrisponde a un periodo della vita del protagonista Angelo Uras: dai dieci ai sessant’anni, da quando il vecchio conte Francesco Fulgheri, avvocato e ricco possidente anticonformista, lo nomina suo erede a quando, diventato sindaco del paese, convintamente si adopera per il bene e gli interessi della comunità, sino alla vecchiaia, al perpetuarsi della stirpe e della storia familiare e sociale vista e considerata attraverso il nuovo protagonismo dei figli e dei nipoti.

TRAMA FAMILIARE. La trama è familiare e di formazione insieme (e per il personaggio di maturazione), ma “Paese d’ombre” non poteva non essere anche l’ultimo suo romanzo autobiografico, proiezione e trasposizione del vissuto autorale (Norbio, alle falde del Monte Linas, è Villacidro, e Francesco Fulgheri, che sposerà Maria Cristina, la figlia di Angelo Uras, ricorda Francesco Dessì-Fulgheri, nome del padre). Come già per “Il disertore”, sullo sfondo c’è la storia, grande e piccola, individuale, familiare e collettiva, che si dilata secondo la consueta dinamica dei centri concentrici: c’è la vita di Angelo, “uomo nuovo”, che crede nel progresso e nella giustizia sociale, la storia degli Uras e dei Fulgheri (la madre Sofia, la moglie Valentina, morta di parto, la figlia Maria Cristina, Francesco e donna Margherita Fulgheri, sua seconda moglie), quella di Villacidro e della Sardegna (Pantaleo Mummìa e l’Editto delle chiudende, la guerra delle tariffe con la Francia e la crisi del sistema creditizio isolano, il depauperamento delle risorse e la distruzione dei boschi, lo sviluppo delle miniere del Sulcis-Iglesiente e lo sfruttamento dei lavoratori, lo sciopero di Buggerru e i moti cagliaritani contro il carovita), la storia italiana e, infine, quella europea (sino alla prima guerra mondiale).

SASSI E FUCILI. Soprattutto un episodio del libro, insieme al parto di Valentina, colpirà per forza rappresentativa e simbolica i suoi tanti lettori. Nella storia della Sardegna e del movimento operaio italiano, tra le lotte per la difesa dei diritti dei lavoratori, ci sono poche date emblematiche come il 4 settembre 1904, quando tre minatori rimasero uccisi dai colpi di fucile dei soldati accorsi per sedare uno dei primi scioperi dell’Italia unita. Il 3 settembre l’ingegnere turco Achille Georgiades, direttore delle miniere della Societé anonime des mines de Malfidano di Buggerru – piccolo centro minerario della Sardegna sud occidentale – dirama una circolare con la quale comunica che, a partire dal giorno successivo, la pausa tra i due turni di lavoro è ridotta di un’ora. È l’ennesima ingiustizia che devono subire i lavoratori, da tempo sfruttati e angariati dalla miseria e dalla fatica rude. La reazione è immediata. Centinaia di minatori in sciopero circondano il villino del direttore. I militari di guardia li accolgono con i fucili spianati e quando gli operai cominciano a lanciare pietre, aprono il fuoco ad altezza uomo. Due minatori, Felice Littera e Salvatore Montixi – quest’ultimo padre di sei figli – restano sul terreno. Un terzo, Giustino Pittau, morirà di lì a poco in ospedale.

SINO A MILANO. Scrive Giuseppe Dessì: «Dal fondo della piazza volò un sasso che passò sopra la folla e finì contro i vetri della falegnameria. Fu l’inizio di un crescendo. I sassi ormai cadevano fitti quando, nel panico di un istante che sarebbe difficile scomporre nella sua fulminea successione cro nologica, qualcuno, rimasto sempre sconosciuto, diede un ordine secco ed energico che i soldati eseguirono automaticamente. Come un solo uomo si fermarono, puntarono a terra il calcio dei fucili, inastarono la baionetta; poi con un gesto rapido, sicuro, fecero scorrere il carrello di caricamento, misero la pallottola in canna. Non tutti lasciarono partire il colpo, ma molti lo fecero e furono soddisfatti del loro gesto. Quella cartuccia li avrebbe salvati. Più tardi, durante l’inchiesta, risultò che i fucili avevano sparato da soli e che le autorità ignoravano che i soldati avessero le giberne piene di cartucce. La notizia della strage rimbalzò per tutta l’Italia operaia. A Milano fu comunicata alla folla durante un comizio di protesta e provocò uno sciopero generale in tutta la Penisola. Solo in Sardegna rimase senza eco, e il silenzio di Buggerru, dopo la strage, in quel triste pomeriggio di settembre, era il simbolo del silenzio di tutta l’isola nella compagine nazionale».

REALTÀ FRAMMENTATA. La tradizione dell’opera, testuale e avantestuale, certifica che la genesi è lunga (almeno dieci anni), faticosa e ricca di ripensamenti. Nell’alveo principale del fiume narrativo e diegetico ancora una volta confluiscono tante microstorie che definiscono, alla fine del loro percorso evolutivo, il paradigma stesso del racconto. La scrittura creativa di Dessì è fatta di monadi, di frammenti, di unità narrative autonome, di storie inizialmente e apparentemente distanti tra loro, che a un certo punto si ritrovano e si intrecciano, dando vita a un sistema più grande, la cui identità è data dal contributo delle singole parti simbioticamente combinate. Nella rappresentazione dessiana la realtà si scompone e ricompone in un continuo ed elegante gioco di rimandi e di verità differite.

CENTRO E PERIFERIA. Il policentrismo delle sue opere e la polifonia, discorsiva e prospettica, sono nient’altro che il risultato di questa articolazione, anche strutturale, che si fa unità, cifra di uno stile, connotatum letterario e poetico. Ogni elemento può essere centro e nel contempo periferia, dipende dal punto di vista. Questa interscambiabilità segnica e crono-topica investe esistenti ed eventi, nomi di personaggi e di luoghi, pragmatiche e profondità ontologiche. Peraltro la varietà del significante non di rado nasconde una univocità del significato. San Silvano, Sigalesa, Cuadu, Ruinalta, Norbio si traducono Biddaxidru. Villacidro e lo sfondo non neutrale della Sardegna e della sua storia sono l’universale concreto, il centro dal quale si può e si deve raccontare al mondo la “fatica del vivere” e l’epica del quotidiano di un’umanità malfatata e dolente. Già con altri romanzi abbiamo sottolineato la straordinaria modernità narrativa e filosofica dello scrittore sardo. Paese d’ombre, il suo capolavoro, conferma e sancisce tutto questo.

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