La Nuova Sardegna

Antonio Marras, da Maria Lai ai Clash

di Angiola Bellu
Antonio Marras, da Maria Lai ai Clash

Una collezione in cui le suggestioni legate ai lavori dell’artista ogliastrina si legano ai richiami al movimento New Romantic

22 febbraio 2020
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Finalmente è arrivato il giorno del “Telaio impazzito e della Jana splendente”: Antonio Marras ha messo in scena una tra le più belle collezioni Autunno Inverno 2020 di questa Fashion Week milanese, entrata ieri nel vivo. Complice una dedica forte e intima. Maria Lai c’è ed è profondo il legame tra i due artisti che emerge dai fili che intrecciano, raccontano, accompagnano tutti i dettagli della passerella in via Bergognone. Un filo tessuto che parte dagli arazzi alle pareti ed esplode in grovigli impazziti e bellissimi sulle giacche in passerella, e sui vestiti. Si deposita sul trucco di modelle e performer, sulle acconciature, sulle unghie laccate e sul cuore pulsante dello spettacolo in scena.

Come sempre, Marras lega le sue creazioni ad un racconto e questa volta c’è il febbrile, appassionato e capriccioso lavoro delle Janas dalle mani di fata, maestre laboriose di cui Maria Lai parlava sempre e che Antonio Marras “vede” in un’isola del Mediterraneo, lavorare insieme dentro una Domus de Jana, appunto. Dall’isola si parte sempre ma si torna: una Jana si reca a Londra e qui incontra la cultura post punk con il movimento New Romantic ( Adam Ant, i Dead or Alive, i Clash) con il luccichio dei tessuti e il trucco vistoso. Quando la Jana torna al suo villaggio porta con sé tutto questo e un fidanzato, John, che vende macchine da cucire. Le Janas perdono la testa per il nuovo oggetto straordinario, che però non sanno usare: i fili impazziscono e creano abiti con mille grovigli che si depositano dappertutto, come meravigliosi ricami fatti da bambini.

Tutti i capi sono ora costellati da interventi New Romantic e da piccoli punti di luce (Swarovski), tanto che l’insieme dei loro trame pare un firmamento. Le “Janas - Antonio Marras” usano tutti i tessuti a loro disposizione: dai velluti ai panni di lana cotta, dai pizzi chantilly, rebrodé e macramé, ai jeans slavati, dai quadri al tulle. Riciclano giacche su cui – risvoltate e ricucite – intarsiano organza e cristalli. Ci sono le camice con le scritte (omaggio ai notissimi libri-stoffa di Maria Lai) e quelle impreziosite da pizzi. Sugli abiti applicano enormi colletti ottocenteschi e da educanda. Non mancano frammenti di vecchie collezioni e i vecchi parka militari che lavati, tagliati e ripresi che rinascono a nuova vita. Tessuti impalpabili o pesantissimi, gonne fascianti o svolazzanti. Loden “strappati” e reinventati. Esplodono anche i colori: il bianco, il nero, il rosso che brilla, il celeste, il rosa pallido, il porpora. I verdi scuro e il salvia.

La moda in Marras diventa la summa di tutte le discipline artistiche che lo stilista frequenta: dal teatro alle ceramiche c’è un unico filo, che unisce e stratifica. Come Maria Lai, Marras vede e sente un’anima negli oggetti – e negli abiti – che mai potrebbero diventare mero consumo da gettare via. A sfilata finita, abbiamo provato a riannodarli i fili di questo bellissima collezione.

Marras, lei ha atteso sette anni dalla scomparsa di Maria Lai prima di tornare a lavorare, in qualche modo, con lei e con i vostri infiniti fili. Perché?

«Sette: un numero bello, dispari, che torna, come quella canzone, “Sette fili di canapa”. Ho iniziato realizzando un progetto che tanti mi chiedevano, con la mostra di Matera».

Quali sono i fili che ama e che la legano a Maria Lai?

«Quelli delle cuciture, dei punti di sutura, dei punti di ricamo. Dei punti che possono unire e separare. Punti di partenza e di arrivo».

Dal 2019 ad oggi lei ha lavorato quindi incessantemente con tutto quanto la lega a Maria Lai?

«Sì, è stato un anno molto intenso con un dialogo tra le opere di Maria e mie dove abbiamo portato al pubblico lavori di Maria mai esposti prima».

Quindi neanche la sua scomparsa ha potuto tagliare il filo che vi ha unito?

«No, anzi. Secondo me si è rafforzato»

Perché ha aspettato tanto?

«Era tutto troppo forte, ed era troppo presto. Poi mi ha un po’ irritato il fatto che, appena è morta, tutti si sono dichiarati amici di Maria, assistenti di Maria. Lei ha scelto una vita molto precisa, molto intima, riservata, appartata e questo va rispettato. Da un lato sono anche felice di questa riscoperta da parte di chi durante la sua esistenza non l’aveva mai considerata. La nipote, Maria Sofia, è stata bravissima a gestire il patrimonio artistico di Maria».

Maria Lai una volta le disse: «Ti ho lasciato un bambino e ti ritrovo un artista». Come ha elaborato dentro di sé questa cosa?

«Mi ha segnato, è stato un motivo di orgoglio e punto di partenza e di arrivo. Punto dal quale muoversi. E’ il sognare di arrivare in un luogo e di terminare un viaggio che in realtà non voglio concludere».

©RIPRODUZIONE RISERVATA

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