La Nuova Sardegna


Nell’universo di Fancello tra morte e fiaba

di Luigi Fassi ed Emanuela Manca *
Nell’universo di Fancello tra morte e fiaba

Venerdì 13 marzo col giornale la settima monografia Il magico immaginario dell’artista di Dorgali

12 marzo 2020
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Un universo sospeso, in cui belve e animali da cortile convivono. Graffito, o dipinto con toni tenui e trasparenti. Una visione fantasiosa e bizzarra della fauna locale che si popola di rinoceronti, struzzi, giraffe, elefanti, formichieri, zebre e canguri. Un mondo senza ombre, reso attraverso linee asciutte e frementi che si inseguono e rincorrono in un brulichio incessante.

SANGUE E SORRISI. Il panorama figurativo di Fancello non si esaurisce però in fantasie arcadiche e suggestioni fiabesche. Le immagini di morte hanno almeno altrettanto peso, e forse più, di quelle di vita. Accanto ai leoni e cinghiali sorridenti vi sono quelli trafitti da frecce, coperti di sangue, infissi su pali. Belve inconsapevoli raffigurate mentre ghermiscono o divorano la propria preda. E il lato oscuro del suo lavoro ancora di più è riconoscibile sul piano formale, nel liquefarsi della massa plastica delle ceramiche, nello sfaldarsi delle forme, nello sgusciare via dei contorni. Nel marzo 1940 Salvatore Fancello è a Milano, in licenza, lavora per la VII Triennale e consegue il Diploma d'Onore. Su commissione di Giuseppe Pagano esegue un imponente apparato decorativo in ceramica per la sala mensa dell'Università Bocconi.

È un giovane uomo di 23 anni, impegnato, ambizioso e innamorato. Scrive con frequenza e tenerezza a Renata Guggenheim, conosciuta a Monza e frequentata a Milano. Lei è la sorella minore di Ruth moglie di Costantino Nivola. Renata aveva lasciato l’Italia con i genitori alla fine del 1938 per sfuggire alle leggi razziali e, prima da Basilea e poi dagli Stati Uniti aveva intrecciato con l’artista una fitta corrispondenza, nel corso della quale i due erano arrivati a confessarsi il loro reciproco interesse.

LE LETTERE A RENATA. E le lettere giunte fino a noi, per quanto prive di informazioni sull’attività e l’ambiente dell’artista e naturalmente incentrate sul rapporto tra i due, chiariscono e confermano il dualismo che pervade il suo lavoro.

È una corrispondenza densa di suggestione nella raffigurazione di un «un mondo bello e buono, con tanti fiorellini e bestie e foglie e formiche», un microcosmo fiabesco di identità con la natura contrapposto a un macrocosmo ostile, quello degli «uomini con la testa di lardo e la coda d’asino». La donna ricorda il suo amato immerso nella natura in un’immobilità che è quasi presagio della fine. Nel maggio 1940 scrive: «Allora faccio come te, vado nei prati e mi sdraio per terra. È tanto bello stare distesi per terra, e guardare il sole così grande e blu, e ascoltare gli uccelli, mi sento come se fossi una parte di tutte queste cose così semplici e belle, quasi mi schiaccio per terra, per poterla toccare con ogni piccolissima parte del mio corpo. Mi sento diventare pigra, pigra, quasi non riesco a muovermi e le mie braccia e mani sono come non fossero mie, e ci camminano sopra le formiche. Allora penso, che forse dev’essere molto bello essere morti, dev’essere un sentirsi una parte della terra, che non finisce mai. In fondo non so perché si pianga a vedere un morto». E ancora: «Ho trovato qui un piccolo posto in mezzo d’un boschetto con pochi alberi e tanti uccelli. Mi sdraio ed è tanto bello perché non c’è nessuno che mi disturbi, e sento solo muoversi le foglie… sto ferma ferma, e le formiche pensano che anch’io sono un pezzo di terra o una roccia, e mi camminano addosso… certe volte mi sembra d’essere una farfalla che ha un giorno solo di vita».

LA DONNA PAESAGGIO. Renata si mostra capace di immedesimarsi nell’immaginario dell’artista cogliendo (in anticipo sulla critica) le latenti pulsioni che lo percorrono e Salvatore sembra vivificare le parole dell’amata nei suoi disegni, quelli in cui appaiono figure femminili distese, donne dai corpi esili e allungati simili a rocce o paesaggi o tronchi d’albero su cui si arrampicano le lucertole.

Metamorfosi e immobilità, organico e inorganico, vitalità e morte. Nel tempo breve in cui ha vissuto Fancello ha concepito immagini originali e sorprendentemente contemporanee sia dal punto di vista iconografico che formale, opere dal valore autonomo e significativo, sufficienti a garantirgli un posto di primo piano nella storia dell’arte italiana del Novecento.

*Luigi Fassi è direttore del Man di Nuoro, dal 2018. Emanuela Manca è una storica dell’arte collaboratrice del Man, ha studiato in maniera particolare tutto il Novecento sardo.

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