La Nuova Sardegna

Mereghetti, il catalogo è questo «Trentatremila film e io li ho visti quasi tutti»

di Fabio Canessa
Mereghetti, il catalogo è questo «Trentatremila film e io li ho visti quasi tutti»

Il critico del Corriere della Sera: nell’edizione 2021 un omaggio a Star Wars «Vedrete, le sale non moriranno. I registi sardi? Ottimi Mereu, Pau e Columbu» 

21 novembre 2020
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Il suo primo articolo sul cinema fu un attacco al duo Franco Franchi e Ciccio Ingrassia: «Su un giornale locale di Abbiategrasso, dove vivevo, perché nel cinema facevano sempre quel tipo di film e io scrissi che volevamo cose diverse, più interessanti».

Ricorda così il suo esordio da critico cinematografico Paolo Mereghetti, firma del Corriere della Sera e noto anche per l’apprezzato Dizionario dei Film che porta il suo cognome. “Il Mereghetti”, che riveduto e aggiornato torna adesso in libreria. Con questa nuova edizione i titoli arrivano a poco meno di 33mila.

Giura di averli visti quasi tutti il famoso critico che per la compilazione delle schede si avvale, ovviamente, dell’aiuto di una squadra di esperti e fidati collaboratori (tra questi anche il nuorese Alessandro Stellino). Un lavoro iniziato nei primi anni Novanta e diventato subito un prezioso strumento per gli appassionati. «Avevo pensato – racconta Mereghetti – che potesse servire in Italia un dizionario come repertorio di film sulla falsariga di quelli presenti all’estero. Erano circa 13mila titoli nella prima edizione, negli anni è cresciuto sempre più».

Con la copertina di questa nuova edizione viene omaggiato Star Wars. Come mai questa scelta? «Dopo le ultime due copertine dedicate a personaggi del cinema italiano, a Ettore Scola e Sophia Loren, volevo qualcosa di straniero e siccome per questa edizione abbiamo fatto un importante lavoro su Star Wars, rimettendo a posto le schede di tutti i film e scrivendo una grande voce tematica sulla saga, la scelta è ricaduta su Darth Vader che è un’immagine anche di forte impatto».

Quali altri approfondimenti troveranno i lettori? «Oltre a questo molto grande su Star Wars, uno su Gianni e Pinotto, uno sui cortometraggi diretti da Buster Keaton e due di orientamento nel mondo dei film Dc Comics e Marvel».

A livello di schede quante ne sono state aggiunte rispetto all’edizione precedente? «Ne abbiamo fatto in più quasi tremila, in gran parte di film nuovi usciti in questi due anni passati dalla pubblicazione della precedente edizione. La strada seguita è sempre quella di aggiungere nuove schede, ma anche di rivederne alcune. Più di cinquecento sono state rifatte, aumentando o abbassando il numero di stellette. Con il tempo e nuove visioni le cose cambiano». Un film che ha fatto un grande balzo in avanti come giudizio? «Sicuramente “Chiamata per il morto” di Sidney Lumet. Nelle vecchie edizioni era considerato una delusione, l’ho rivisto in dvd ed è balzato direttamente a tre stelle. Merita, a cominciare dalla prova del protagonista James Mason».

E un film che rivisto ha invece trovato deludente? «So che farò arrabbiare gli appassionati, ma ha fatto un bel passo indietro “Omicidio a luci rosse” di Brian De Palma. Lo ricordavo come uno dei migliori titoli degli anni Ottanta. Al tempo ci eravamo un po’ tutti innamorati di quel modo di raccontare e invece rivedendolo oggi devo dire che proprio quel modo postmoderno, un po’ citazionista, rivela tutti i suoi limiti». Tra i titoli recenti ce n’è qualcuno che si è meritato di entrare nella lista dei capolavori a quattro stelle? «Un solo film uscito tra la vecchia edizione e questa ha preso quattro stelle: “The Irishman” di Martin Scorsese. Ce ne sono altri con tre stelle e mezzo, per esempio “Martin Eden” di Pietro Marcello e “La paranza dei bambini” di Claudio Giovannesi». Due film italiani. Come vede in generale il nostro cinema? «Ci sono dei registi su cui puntare. Oltre a Marcello e Giovannesi, già citati, per esempio i fratelli D’Innocenzo, grande novità degli ultimi due anni, o Susanna Nicchiarelli. Abbiamo anche dei buoni attori, non sempre ben diretti però, e spesso protagonisti in film che sono realizzati come prodotti usa e getta. Manca in generale l’ambizione e la capacità di creare un vero rapporto con il pubblico con film di qualità».

E dei registi sardi cosa ne pensa? «Mereu, Pau, Columbu sono sicuramente ottimi registi. Il cinema sardo mi sembra molto interessante e con cose da dire. Il problema è l’industria nazionale, il rapporto con il pubblico». Pubblico che in questi mesi segnati dal Covid si è abituato a vedere film a casa. Come vede il futuro del cinema dopo la pandemia? «Sono speranzoso, le sale non moriranno. Passata la pandemia e tutte le paure credo che la gente tornerà al cinema. La proiezione in sala è qualcosa di insostituibile, i film hanno bisogno delle sale e la cosa interessa economicamente anche a produttori e distributori. Basta pensare alla Disney che porta nei cinema “Avengers: Endgame” facendo un incasso di due miliardi e settecento milioni di dollari. Non c’è una distribuzione streaming che possa assicurare lo stesso risultato economico». Una buona parte del pubblico, però, sembra amare ormai più le serie televisive che film. Lei cosa pensa del linguaggio seriale? «Non sono un fan delle serie. E ci sono sempre così tanti film da vedere. Certo il linguaggio seriale ha una complessità narrativa interessante, potendo sviluppare storie nel tempo. Devo dire però che il livello di qualità delle immagini, del modo di raccontare, lo specifico cinematografico per usare un vecchio termine, le serie non l’hanno scalfito. Il rischio è che abituino troppo gli spettatori a una qualità più semplice, a un gusto se posso dire meno raffinato».

Tornando al cinema, come faranno un po’ tutti le chiediamo anche noi qualche consiglio: tre film assolutamente da vedere o rivedere? «Ma nuovi o vecchi?» Come preferisce. «Allora vecchi che sono più belli. “La morte corre sul fiume” di Charles Laughton, “Un uomo tranquillo” di John Ford e, per citare anche un film italiano, “Europa 51” di Roberto Rossellini».

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