La Nuova Sardegna

“Il battito dei ricordi”, il nuovo romanzo di Vanessa Roggeri

di VANESSA ROGGERI
“Il battito dei ricordi”, il nuovo romanzo di Vanessa Roggeri

Un matrimonio felice bruscamente interrotto da un’incidente. L’incontro fra due anime e la scoperta che la realtà ha lati incomprensibili

10 maggio 2021
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Pubblichiamo l’incipit del nuovo romanzo di Vanessa Roggeri, “Il battito dei ricordi” (Rizzoli, 300 pagine, 18,00 euro), in libreria da domani.

* * *di VANESSA ROGGERI

6 maggio 1527, Roma

Tempo. Non c’era più tempo. L’inferno batteva alle porte di Roma e presto avrebbe reclamato il sangue dei suoi abitanti. Kaspar doveva sbrigarsi se intendeva mettere al sicuro la donna che stringeva al suo fianco. Lena doveva vivere, la sua salvezza era un pensiero che non gli dava pace. Sollevò l’arazzo e con mano frenetica tastò l’intaglio della boiserie in cerca del passaggio segreto. Una levetta scattò e il pannello si aprì su uno spazio buio e umido che il capitano si affrettò a illuminare con la candela prima di profanarlo. L’ambiente era angusto, occupato in parte da una scala a chiocciola che conduceva a un abbaino affacciato sulla grande piazza.

«Kaspar, non lasciarmi sola!» lo implorò Lena.

L’aveva strappata alla sua casa nel cuore della notte, dicendole che non c’era più tempo, che i mercenari del nord stavano per attaccare. Che ne sarebbe stato di lei, se Kaspar fosse morto?

«Rimani nascosta fin quando non sarò tornato. Non uscire e non aprire a nessuno. Ho bisogno che tu stia nascosta. Se ti saprò in balia di quei lupi non riuscirò a combattere».

Temendo per la vita di Kaspar, Lena si asciugò le lacrime e lo baciò.

«Ti prego, non morire».

«Qualunque cosa accadrà oggi, giuro che tornerò a prenderti». Non c’era più tempo.

Si scostò per riempirsi gli occhi un’ultima volta con la visione di lei: se solo avesse potuto l’avrebbe rimpicciolita come una gemma e, aprendosi un solco nel petto, l’avrebbe custodita nella propria carne per sempre, lontana da ogni male. Poi arretrò senza mai staccare lo sguardo dal suo, finché il passaggio segreto non fu richiuso, di nuovo invisibile al mondo. Fu come murarla viva. In quel momento il capitano Kaspar ebbe la terribile sensazione di aver appena sigillato la tomba della sua amata.

10 dicembre 2015,

Andalusia

La Pontiac GTO del ’69 rosso fiammante, il gioiellino che per gran parte dell’anno restava parcheggiato in garage come una preziosa reliquia, aveva compiuto la sua magia. Javier Santiago ci aveva visto giusto: era bastato esibirla sotto il naso dell’amministratore delegato degli Aurora Hotels, la catena alberghiera tedesca che progettava di aprire quattro filiali in Spagna, per attirare subito la sua attenzione e strapparlo alla concorrenza. Appena le sue fonti lo avevano informato che Roy Schmidt avrebbe incontrato in via ufficiosa i produttori di vino più importanti di Malaga, non ci aveva pensato due volte a montare in macchina e raggiungerlo al Golf Club Torrequebrada. Javier era abituato a vincere, e soprattutto negli affari non lasciava mai nulla al caso; suo padre Oliverio gli aveva insegnato a studiare i punti di forza e le debolezze delle controparti, e le auto d’epoca erano di certo il punto debole di Roy Schmidt. Javier voleva l’esclusiva per rifornire i suoi ristoranti, voleva quel contratto e non si sarebbe fermato fin quando non l’avesse ottenuto.

La giornata aveva dato i suoi frutti e adesso non vedeva l’ora di ritornare a casa. Il sole era tramontato da ore, doveva sbrigarsi se voleva arrivare in tempo per la festa di compleanno di sua madre. Girò la chiave nel quadro e fece rombare il motore; due accelerate e partì sgommando sulla ghiaia del parcheggio. Finalmente aveva l’occasione di sperimentare se davvero la sua Pontiac riusciva a coprire la distanza tra Malaga e Huelva in meno di due ore. Il cellulare vibrò e sul display apparve il nome di sua moglie Isabel.

«Signor Santiago, ti sei perso? Qui aspettiamo soltanto te».

Javier sorrise pensando alla villa dei suoi genitori gremita di ospiti e all’ansia di sua madre per l’assenza inopportuna del secondogenito.

«Mia bellissima moglie, non preoccuparti, sto arrivando».

«Aida non vuole tagliare la torta senza di te. Lo sai com’è fatta tua madre: vuole che sia tutto perfetto. Ho già messo Luz a dormire».

«Tesoro, cavalco una Pontiac, arriverò prima che lo champagne si riscaldi».

«Che sbruffone!»

La sentì sorridere attraverso il telefono; anche se non poteva vederla, lo intuiva sempre dal modo impercettibile che aveva di sospirare.

«Oggi abbiamo due buoni motivi per brindare».

«Va bene. Mi racconterai tutto quando arrivi. Fai attenzione, non correre troppo».

Javier ingranò la quarta e affondò il piede sull’acceleratore. La notte senza luna era densa e silenziosa. Nera era la strada, neri i campi e i vigneti infiniti; ogni tanto due fari nel senso di marcia opposto fendevano l’oscurità, per poi scomparire subito dopo inghiottiti dal buio. Accese gli abbaglianti, mentre fermava la radio su una stazione che dava vecchie canzoni rock. Il cane apparve all’improvviso, una sagoma luminescente in mezzo alla carreggiata, immobile come in attesa della morte. A quella velocità, la cosa più giusta da fare sarebbe stata centrarlo in pieno e poi rallentare, invece Javier sterzò per istinto, una violenta virata che mandò la Pontiac in testacoda.

Quando schiacciò il freno le ruote inchiodarono sull’asfalto con uno stridio sinistro, una manciata di secondi eterni in cui Javier, in completa balia dell’auto fuori controllo, non ebbe nemmeno il tempo di realizzare quanto stava accadendo. La Pontiac schizzò come un bolide impazzito, fermando di colpo la sua corsa contro un pino a bordo strada. Impattò frontalmente, il tronco si incuneò nell’abitacolo dal lato destro, risparmiando quello sinistro e imprigionando nelle lamiere accartocciate il corpo esanime di Javier. La cintura di sicurezza lo tenne al suo posto, ma l’urto fu così violento da sbalzarlo in avanti, contro il volante privo di airbag, e lateralmente, facendogli sfondare il finestrino con la faccia. Un boato metallico, un fragore di distruzione; poi sulla strada calò di nuovo il silenzio, rotto solo dal sottile sfrigolio del motore in agonia. La notte avvolse la sagoma deformata dell’auto come una sostanza fumosa; sorbì la debole luce dei fari spegnendoli per sempre e penetrò il metallo ferito, strisciando fin dentro la testa di Javier.

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