La Nuova Sardegna

L’intervista

Matteo Martari: «Il senso del viaggio è fare nuovi incontri»

di Alessandro Pirina
Matteo Martari: «Il senso del viaggio è fare nuovi incontri»

Con il suo film all’Andaras festival «Ero nella moda, ma il mio sogno era recitare»

19 luglio 2023
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È uno degli attori più apprezzati della sua generazione. Cinema e televisione se lo contendono. E anche i festival. Qualche settimana fa era a Golfo Aranci per il Figari film fest, la scorsa settimana era in cartellone all’Andaras Traveling festival, la kermesse del corto di viaggio che si è svolta tra Fluminimaggiore, Buggerru e Iglesias. Il suo film, “Le ragazze non piangono”, è stato proiettato a Fluminimaggiore alla presenza del regista Andrea Zuliani, delle attrici Emma Benini e Anastasia Doaga e dalla sceneggiatrice Francesca Scanu.

Martari, cosa è per lei il viaggio?

«Io ho viaggiato tantissimo, perlopiù per lavoro, ma lo scambio culturale esiste anche in quel caso. Viaggiare significa incontrare persone diverse. Io ho viaggiato molto, al momento meno. Quando lavoravo nella moda partivo anche 3 o 4 volte alla settimana. Ho girato tutta l’Europa, ho vissuto per quasi un anno a New York. E poi per i fatti miei sono andato anche in Brasile e Australia».

Il primo viaggio della vita?
«Eviterei di dire quelli con i miei genitori in montagna. Il mio primo vero viaggio con gli amici, essendo io uomo di montagna, è stato al mare. Nella Rimini e Riccione degli anni ’90».

L’ultimo?
«Dipende da cosa intendiamo per viaggio. Per me non è solo lo spostamento da un luogo a un altro. Viaggiare per me è incontrare persone nuove. Dunque, l’ultimo è stato in Sardegna, a Golfo Aranci, dove ho avuto la fortuna di conoscere persone fantastiche».

Il viaggio dei sogni?
«Ne ho un paio. Il Bhutan, perché ci sono vette pazzesche, e come tutti vorrei vedere l’aurora boreale in Islanda. E poi l’Asia, per la quale, essendo gigantesca, devi avere tempo a disposizione. E io tutto sommato spero di non avere tutto questo tempo libero».

Al festival è stato presentato “Le ragazze non piangono”: cosa può raccontarci?
«È la storia di due ragazze che affrontano un viaggio evolutivo per la loro crescita. In questo viaggio incontrano diverse persone, tra cui Lele, il mio personaggio. Mi sono divertito tantissimo. Lele è un uomo fragile, ma fondamentalmente è un buono. Perché in realrà le persone nascono buone, sono gli eventi che affrontiamo nella vita che mistificano tutto».

Da Verona a Milano per fare il modello. Come avviene il passaggio al cinema, qual è stata la sliding door?

«La scuola di teatro Quelli di Grock a Milano. La volontà di affrontare un percorso didattico esisteva da tempo, ma non era facilissimo riuscire a farla, perché richiede tempo e quel tempo va sostenuto economicamente. Per anni non me lo sono potuto permettere. Quando c’è stata la possibilità è stata una scommessa».

Tante serie, le più diverse tra loro. A un passo dal cielo, Medici, I bastardi di Pizzofalcone, Cuori. C’è un comune denominatore?

«Ormai la serialità, sia dal punto di vista tecnico che artistico, non ha nulla da invidiare al cinema. Talvolta si trovano anche prodotti migliori nella serialità e bisogna andarne fieri. Quanto a me, non so se c’è un denominatore comune. Ogni progetto lo vedo autentico, nuovo, esclusivo nel suo genere. Altrimenti mi toglierei il gusto. Forse il filo conduttore sono io, che ogni volta ho un approccio didattico, artistico, passionale autentico».

In questi anni ha lavorato tantissimo: un no che ha detto di cui potrebbe pentirsi?
«Non posso fare nomi e cognomi, né titoli. Ma su una proposta dell’anno scorso mi viene da dire: “Matteo, mannaggia”. Io non sono mai preoccupato per la mole di lavoro. La verità è che i progetti possono prendere le direzioni più inaspettate. Quello che non hai considerato rischia di diventare quello di cui parlano tutti. O quello che sulla carta si presentava interessante non viene valorizzato».

Dopo l’estate cosa l’aspetta?
«Non posso dire molto su settembre in poi. Ma a inizio stagione uscirà su Rai 1 la seconda stagione di “Cuori”. E poi nel 2024, sempre sulla Rai, “Brennero”».

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