La Nuova Sardegna

Intervista

Ghemon nei teatri sardi con Una Cosetta Così: «Non solo rap, ora provo a far ridere: ma verrò giudicato ogni 10 secondi»

di Isidoro Mongili

	Il rapper e cantautore Ghemon (al secolo Giovanni Luca Picariello)
Il rapper e cantautore Ghemon (al secolo Giovanni Luca Picariello)

Tre serate di stand up comedy a Nuoro, Sanluri e Alghero. «Valuto sempre cosa scrivere e come scriverlo, so che con la musica posso muovere le coscienze»

09 dicembre 2023
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Torna in Sardegna Ghemon. L’artista avellinese (al secolo Giovanni Luca Picariello) porta lo spettacolo “Una cosetta così” al Ten di Nuoro il 14 dicembre alle 21, il 15 al Teatro Comunale Congia di Sanluri alle 20.30 e domenica 17 alle 21 al Teatro Civico “Gavino Ballero” di Alghero per FestivAlguer. Non potendolo definire (a detta sua) né un concerto né uno spettacolo teatrale, gli abbiamo chiesto di cosa si tratti.

Come nasce lo show e di cosa parla?

«Storie di tutti i giorni che ho cercato di raccontare attraverso un percorso del tutto nuovo, cercando di tirar fuori una parte di me diversa da quella che mostro di solito. La parte musicale è presente ma in modo diverso. Le canzoni che faccio dal vivo sono degli inediti fatti apposta per lo spettacolo. Il tutto è un po’ misterioso ma deve essere così. All’inizio del chiedo di non mettere niente online in modo da non rovinare la sorpresa alle persone che vengono a vedermi».

Come le è nata l’idea?

«La stand up comedy mi è sempre piaciuta, era da tanto che volevo fare una cosa di questo genere. C’è un lato ironico dentro di me, ma che sui social o all’interno dei miei testi non sono mai riuscito a trasmettere. Dopo due Sanremo di fila ho sentito che era arrivato il momento di percorrere un’altra strada, forse rischiosa ma che allo stesso tempo assecondasse la persona che stavo diventando».

Se le chiedessero che lavoro fa, lei cosa risponderebbe?

«Una parola per definirmi non c’è, mi piace essere versatile. Cerco di comunicare attraverso le diverse forme d’arte, in questo modo mi diverto e mi sento me stesso. Forse la parola artista è la più corretta».

È passato dall’hip hop al soul fino alla stand up comedy, lo spettacolo è una fusione di generi?

«Una fusione con delle aggiunte. Si può dire che si tratta un riassunto delle cose che ho fatto e che fanno parte di me».

Cantare e intrattenere, quali sono le differenze?

«In comune c’è lo stare sul palco. Prima ho fatto tante serate con comici emergenti e posso assicurarle che avevo più esperienza di palco ed ero meno teso rispetto ad uno agli inizi. Per il resto, il lato comico e teatrale è totalmente diverso rispetto ad un concerto. C’è silenzio e tutte le emozioni belle o brutte le capisci. Vieni giudicato ogni dieci secondi. Nella musica no».

Quindi è più difficile far ridere rispetto che farsi apprezzare come cantante?

«È una regola importante. Una bella canzone è comunque una bella canzone. Una bella battuta può essere una bella battuta ma se non ride nessuno non verrà apprezzata neanche da te. La risata influenza anche la percezione degli altri. Il rapporto con lo spettatore è diverso. Nella musica chi sta sul palco a volte quasi si dimentica che sta cantando ad una platea».

La sua è stata una scelta coraggiosa...

«Mi rendo conto che sia così, ma l’ho fatto per esigenza personale. Avevo bisogno di uno spazio per me dove sentirmi libero».

Ha dei rimpianti legati alla sua carriera?

«C’era la paura del giudizio e le persone che avevo attorno mi dicevano di restare sulla strada che già percorrevo. L’unico rimpianto è perciò non aver saputo assecondare i miei sentimenti prima».

Pensa di aver perso pubblico o di averne guadagnato?

«Molti hanno apprezzato solo una parte della mia carriera ma sono sorpreso da quanti mi abbiano seguito nonostante i cambiamenti. Sono molto fatalista. In altri i campi è raro che ci siano clienti che vanno per tanto tempo nello stesso posto; quindi perché col mio pubblico dovrebbe essere diverso?».

Parliamo del suo prossimo arrivo in Sardegna. Che rapporto ha con l’isola?

«La prima volta fu a sei anni, quando con mio padre andammo ad Olbia. Era pieno inverno e non era ancora arrivato il turismo di oggi. Ci sono ricordi legati alla musica, ma solo poche volte sono riuscito a venire. Anche per questo ho deciso di tornarci».

Pensando alle polemiche di questi giorni riguardanti i testi che oggettificano la donna, quanto crede che un artista abbia la responsabilità di ciò che scrive?

«Non vorrei che si cercasse di generalizzare il fatto che è colpa del rap, spesso sento in giro queste polemiche. Le cose succedono anche senza queste frasi. Detto ciò, viviamo in un mondo figlio di una società machista ed il rap è solo una maniera come un’altra di documentare la realtà. Quello che va condannato è invece l’ignoranza e il come vengono trattati certi argomenti, ma questo vale per tutti gli altri ambiti. Dal mio punto di vista valuto sempre cosa scrivere e come scriverlo, so che con la musica posso muovere le coscienze, ma non tutti sono così scrupolosi».

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