La Nuova Sardegna

L’intervista

Ascanio Celestini: «Oggi la rivoluzione è al contrario: dobbiamo lottare per difendere i diritti»

di Alessandro Pirina
Ascanio Celestini: «Oggi la  rivoluzione è al contrario: dobbiamo lottare per difendere i diritti»

L’attore nell’isola con Rumba, il suo personalissimo presepe: «Sulla guerra siamo tornati indietro di 100 anni. Salvo solo il Papa»

01 maggio 2024
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Ascanio Celestini porta il suo presepe nell’isola. La Sardegna farà da sfondo a “Rumba”, ovvero “L'asino e il bue del presepe di San Francesco nel parcheggio del supermercato”. La favola moderna, poetica e surreale che si ispira al Santo di Assisi arriva sotto le insegne del Cedac: martedì 7 maggio al Teatro Bocheteatro di Nuoro, mercoledì 8 al Teatro Costantino di Macomer, giovedì 9 al Comunale di Sanluri e venerdì 10 al Teatro Centrale di Carbonia.

Che presepe è Rumba?

«Lo spettacolo è la terza parte di una trilogia iniziata dieci anni fa con “Laika” e proseguita con “Pueblo”. Il luogo in cui si svolgono queste storie è il parcheggio di un supermercato. Attorno ci sono un condominio, un bar, un magazzino della logistica. E i personaggi che vivono in questa periferia sono i condomini, la prostituta romena, la cassiera, il barbone. Personaggi di cui si parla nelle pagine di cronaca solo quando succede qualcosa di scandaloso, ma dimenticandoci che queste persone solo la maggioranza. Le eccezioni sono la Tour Eiffel e il Colosseo, per il resto le periferie delle città si somigliano tutte. Questo spettacolo lo portiamo anche in Francia e in Svezia senza sostanzialmente cambiare niente».

Perché nello spettacolo messo su nel parcheggio ha voluto rappresentare San Francesco?

«Perché è un personaggio molto curioso. E lo dico da ateo materialista. Non è corretto tirare fuori San Francesco dal contesto religioso: era un uomo del Medioevo e come tutti gli uomini del Medioevo era un cristiano convinto. Ma è un cristiano che svuotato di tutta la sua fede resta un uomo straordinario. Basta pensare il fatto che smette di usare la parola padre. C’è solo il Padre nostro, gli altri sono tutti fratelli e sorelle, anche fratello fuoco e sorella morte. In questo c’è una visione fatta non più di padri e figli, padroni e sottomessi. C’è solo uno che sta al di sopra degli altri, ed è Dio. Ma anche togliendo Dio per chi non è credente, resta una visione rivoluzionaria della società».

La Chiesa di Francesco è sulla via di San Francesco?

«È chiaro che il capo della Chiesa sta comunque al vertice di una struttura che somiglia molto a una multinazionale e come una multinazionale sovranazionale è presente in tutto il mondo. Ma c’è da dire che con Bergoglio l’attenzione di una parte della Chiesa verso gli ultimi è più evidente. Anche perché tutti gli altri poteri si sono disinteressati a quella parte di mondo che vive in condizione di subalternità. Il Papa è il primo che ha parlato di guerra mondiale a pezzi, di ambiente, l’unico che dice parole vagamente di pace. Anche se il suo potere sembra molto limitato è uno dei pochissimi leader mondiali che esprime posizioni di disappunto verso la guerra».

I poveri, i deboli, i fragili non hanno voce. C’è chi dà la colpa all’assenza della sinistra.

«La sinistra la troviamo nei Parlamenti. È l’ideologia che sta alla base che è stata messa in secondo piano. Il marxismo era quella visione del mondo che mette in primo piano la lotta tra classi sociali e non tra nazioni. Oggi sembra scontato che i buoni siano entro il nostro confine, gli altri fuori. Sembrava ci fossimo emancipati da questa visione barbara. Per un centinaio di anni ci eravamo illusi che il conflitto vero fosse tra sfruttati e sfruttatori. La guerra è tornata a essere quella di cento anni fa».

Vede un novello Francesco?

«Oggi ci troviamo in un momento di grande riflusso. Se negli anni ’60 e ’70 si lottava per avere i diritti, oggi dobbiamo lottare per non farceli portare via. Quando dico che il fascismo è pericoloso non mi riferisco solo a quello finito il 25 aprile 1945, ma anche alla stagione delle bombe, alla P2. Contro quel fascismo lì si è lottato negli anni ’60 e ’70, le bombe vennero messe per fermare i cambiamenti. Oggi facciamo una battaglia al contrario per cercare di conservare quello che abbiamo ottenuto. Non abbiamo leader rivoluzionari perché la rivoluzione non è da fare ma da difendere».

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