La Nuova Sardegna

L'intervista

Luca Ward: «Con Russell Crowe parlo in italiano, sul doppiaggio Elio Germano sbaglia»

di Alessandro Pirina
Luca Ward: «Con Russell Crowe parlo in italiano, sul doppiaggio Elio Germano sbaglia»

L’attore si racconta e parla del suo legame con l’isola: «Ho prestato la mia voce anche alla Sardegna»

24 maggio 2024
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La sua voce è diventata famosa prima di lui, molti anni prima. Luca Ward è stato il doppiatore delle più grandi star del cinema mondiale, fino a quando non ha deciso di fare conoscere al pubblico il suo volto. È arrivato il successo, soprattutto in tv, ma lui non ha mai abbandonato quel suo primo amore, che gli era stato tramandato dal padre Aleardo, che a sua volta lo aveva ereditato dai nonni.

Luca, figlio e nipote d’arte: la sua strada era segnata?
«Le alternative le ho cercate come un disperato. Venendo da una famiglia di artisti sapevo a cosa si andava incontro. Mio padre e mia madre erano attori non famosi e a casa si faticava ad arrivare a fine mese. Ho cercato in tutti i modi di scappare da questo mondo effimero in cui non decidi tu la tua carriera, perché sei in mano ad altri. Più scappavo e più mi ci ritrovavo. Ho iniziato bambino negli sceneggiati Rai. Ero felice di potere dare una mano a casa».

Come era la vita in famiglia?
«Complessa, difficile, ma nonostante questo molto tranquilla. Passavamo da uno sfratto all’altro, da un taglio della luce all’altro. Via il telefono, via i mobili. Insomma, non è stata un’infanzia facile, ma finché mio padre c’è stato ha sempre tentato di non farci sentire questo peso. “Cambiamo casa perché non piace alla mamma”, ci diceva. In realtà, ci avevano sfrattati».

Il primo set?
«Avevo 3 anni, era uno sceneggiato Rai di Sandro Bolchi, “Demetrio Pianelli”. Facevo il figlio di Paolo Stoppa: sono state le mie prime 15 pose».

Il primo doppiaggio?
«Quello che mi ha dato la spinta e fatto accendere il motore fu “A 30 secondi dalla fine” del 1983, dove prestavo la voce a Eric Roberts. Da allora ho deciso di dedicarmi al doppiaggio, che è una vera sfida, senza compromessi: o lo sai fare o sei fuori».

Perché l’Italia è leader nel doppiaggio?
«In realtà, si doppia in 60 Paesi. Ma noi siamo leader in tanti campi: se noi italiani facciamo le cose le facciamo bene. In tanti settori siamo una eccellenza e anche nel doppiaggio siamo riusciti a fare cose meravigliose».

Elio Germano ha detto: “assurdo che esistano i film doppiati”.
«Mi meraviglia che un attore del suo calibro, della sua importanza e della sua bravura abbia sprecato il suo tempo per dire queste cose sul doppiaggio. Forse Germano dimentica che il grande cinema italiano senza il doppiaggio non sarebbe diventato quello che è diventato. Fellini, Leone doppiavano tutti i loro film. Avrebbe potuto dire: “preferisco i film in lingua originale”. Mi ha sorpreso».

Pierce Brosnan, Samuel L. Jackson, Russell Crowe, Keanu Reeves, Hugh Grant, Antonio Banderas: quello che sente a lei più vicino?
«Ho doppiato più di 900 film, sono veramente tanti. Ho prestato la voce ad attori magistrali, tutte sfide enormi. Magari non le ho vinte, ma metto molto amore in tutto quello che faccio. Ogni volta è una sfida diversa, anche perché noi facciamo il doppiaggio senza neanche conoscere la storia».

Quando si parla di lei si dice la voce del Gladiatore: si è rotto di questa definizione?
«Mi riempie di gioia ogni volta che me lo chiedono. Sono strafelice di avere avuto la fortuna di fare quel film e di essere riconosciuto dalle persone per la voce».

Ha conosciuto le star a cui presta la voce?
«Russell Crowe è un uomo straordinario, semplicissimo, generosissimo. Una bella persona, non si sente una star. Con lui non si parla mai di lavoro. Quando è a Roma vuole parlare di Roma antica e soprattutto lo vuole fare in italiano. Pierce Brosnan è un uomo elegante. Hugh Grant è simpaticissimo, meraviglioso: una mimica unica al mondo».

Quando ha deciso di non volere essere più solo una voce?
«A 40 anni dopo “Il gladiatore”. Fu Rossella Izzo a spingermi per tornare in tv. Io all’inizio ero titubante, non corrispondevo a quello che pensavo potesse essere lo stereotipo dell’attore: biondo, occhi azzurri, figo. Io mi sentivo inadeguato, non avevo sicurezza di riuscire. Poi mi sono capitati due o tre personaggi negativi, da supercattivo, che sono i più belli da fare».

Centovetrine e soprattutto Elisa di Rivombrosa le diedero una popolarità immensa.
«Soprattutto Elisa, che ancora oggi detiene il record: 20 milioni di telespettatori».

Un successo clamoroso del tutto inaspettato.
«Noi ci credevamo, sapevamo di avere fatto una cosa grandiosa. Non ci credeva il canale, non se lo aspettava e la cosa gli è esplosa tra le mani. Poi nella seconda serie, togli Preziosi, togli Ward, e non è andata più».

Un no ricevuto che ancora le dispiace?
«Io non ne ho mai detto, mi sono sempre messo in gioco, ma ne ho ricevuti a migliaia, soprattutto al cinema, perché per il cinema ero solo una voce. Non potevo fare l’attore. E infatti film ne ho fatti veramente pochi. La tv mi ha dato più fiducia e io l’ho sempre ripagata».

Cinema, teatro, tv: dove si sente più a suo agio?
«Il set mi diverte, non fatico, non sento lo sforzo, perché memorizzo velocemente. Il doppiaggio è ogni volta una sfida diversa, come il teatro. Tra l’altro io faccio i musical, dove canto e recito: non è una passeggiata».

Due anni fa ha prestato la voce anche alla Sardegna.
«Amo l’isola da sempre. La frequento da quando ero ragazzino, non c’era quasi nulla: Cala Gonone, Arbatax. A mio papà piaceva Carloforte, Sant’Antioco. E poi Villasimius e infine in Gallura, il camping Isuledda, dove andavo per rimorchiare. Quando mi è arrivata la proposta della Regione per lo spot ho detto subito sì. Non me ne fregava niente dell’offerta economica, lo sentivo come un omaggio alla mia gioventù, ai primi amori. La Sardegna è la prima isola in cui ho portato i miei figli».

Il doppiaggio è un’arte che si tramanda di padre in figlio: le piacerebbe che i suoi seguissero le sue orme?
«No, perché quando io ho iniziato eravamo i primi al mondo, oggi è tutto scaduto, troppa velocità. Ai tempi era un’élite, anche i grandi attori facevano il doppiaggio. Oggi i lavori vengono affidati a società pirata che fanno compromessi. Se non alziamo il livello rischiamo di farci sostituire dall’intelligenza artificiale».

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