Rosita Celentano: «I sessant’anni? Sono pronta a riscrivere la mia vita»
L’attrice sbarca l’8 gennaio a teatro ad Alghero con l’Illusione coniugale, poi a Macomer, Olbia, Meana Sardo e San Gavino
Negli anni ci ha abituati a vederla in tv in più vesti: conduttrice, inviata, opinionista. Da poco è stata anche una delle editorialiste di Chiambretti. Ora Rosita Celentano arriva nell’isola in una veste diversa, quella di attrice. L’8 gennaio sbarca ad Alghero con “L’illusione coniugale” al fianco di Attilio Fontana e Stefano Artissunch, che cura anche la regia. La commedia su matrimonio, fedeltà e tradimento, targata Cedac, nei giorni successivi farà tappa a Macomer, Olbia, Meana Sardo e San Gavino.
La fedeltà è un’illusione?
«A seconda del Paese in cui vivi l’idea di fedeltà cambia. La cultura fa molto in questo senso. Poi bisogna distinguere tra fedeltà fisica e fedeltà d’animo. È difficile dare una risposta che valga per tutti: non sappiamo se l’essere umano è fatto per essere monogamo. A fare la differenza in qualsiasi cultura è l’essere leali con sé stessi e con la persona con cui ci si accompagna».
In una precedente intervista ha detto: le corna mi hanno portato bene. In che senso?
«Si può riferire a qualsiasi situazione di difficoltà. Da un po’ di anni vivo ogni dolore, ogni caduta come una opportunità. Sofferenze, difficoltà sono portatrici di altro. Noi cresciamo nel momento in cui soffriamo o ci rialziamo dopo essere caduti. Quando tutto fila liscio ti godi il momento, nel momento in cui si sta male si impara, si cresce».
La figlia della coppia più bella del mondo che porta in scena l’illusione coniugale è un po’ un paradosso?
«Questa cosa non l’aveva mai sottolineata nessuno (ride, ndr)... la coppia più bella del mondo nonostante le difficoltà. Ho conosciuto un’altra coppia così. “Siete quello che ogni coppia vorrebbe essere”, dissi loro. E lei, Anna: “Anche noi abbiamo vissuto momenti difficili. Ma è proprio nel momento in cui ci si sceglie che si è consapevoli che le difficoltà vanno affrontate in due e bisogna crederci sempre”. Cosa che non c’è nelle relazioni moderne: ci si mette insieme in fretta, ci si sposa per fare un festone. Manca la profondità per superare anche la prima crisi».
Da bambina cosa sognava di fare da grande?
«Volevo fare l’attrice. Ma sono stata condizionata dalla scelta di non volermi allontanare dal quotidiano, dagli amici, dalla famiglia. Mio padre mi ha sempre detto: “Più vai avanti più rischi di rimanere sola se non alimenti gli affetti. La fama tende a isolarti o fare avvicinare solo le persone interessate”. Ho sempre tenuto ben presente questo e quando il lavoro tendeva a portarmi lontano ci rinunciavo».
Primo set a 10 anni: “Yuppi du” diretta da papà Adriano.
«Anni prima avevo visto “L’emigrante”: nella scena iniziale c’era un bambino che salutava il padre che partiva per l’America. Fu allora che pensai: “Voglio fare anche io un film con papà”. Per “Yuppi du” la bimba era già stata scelta, ma il primo giorno di riprese pianse tutto il giorno e mio padre non volle forzarla. Il caso volle che io fossi sul set con mio fratello e mia cugina Evelina, la figlia di Gino Santercole. Mio padre si avvicinò a noi e io speravo tanto proponesse a me di fare il film. Invece, lo chiese prima a mia cugina, ma lei voleva che sul set ci fossero solo mio padre e mio zio. Cosa impossibile. Allora lo propose a mio fratello, ma lui si rifiutò di girare in parrucca e treccine. Restavo io. “Vuoi provare tu?”. Non esitai e feci la prova con i pantaloni dell’altra bimba che neanche mi stavano. Ma non dissi nulla per paura di non avere il ruolo» .
Agli inizi ha inciso anche un album. Rimpianti musicali?
«In quel periodo cantavano tutti in famiglia e mi piaceva il progetto. Ma non ho mai aspirato a fare la cantante».
A Sanremo ’89 è tra i quattro figli d’arte alla conduzione: coraggio o incoscienza?
«Secondo me tutti e due. Era chiaro che ci avessero presi perché portavamo un cognome importante. Ma sapevo anche che sarebbe stata un’esperienza unica e mi ci dedicai con il massimo impegno. Da parte del pubblico ci fu un affetto disarmante. Purtroppo, avevamo uno staff di autori non preparati che ci buttarono allo sbaraglio. Ma siamo andati molto meglio di certi professionisti. Di Sanremo ho un ricordo meraviglioso».
Essere figlio d’arte ha più pro o più contro?
«Uguale. Il rovescio della medaglia è pari all’altra faccia. Una agevolazione c’è, ma anche più responsabilità. Spesso si è prevenuti verso i figli di cantanti o attori che scelgono la stessa strada dei genitori. E in parte ci sta».
Chi è stato il primo a credere in lei come conduttrice?
«L’allora direttore di Rete 4, Vittorio Giovanelli, che mi volle affiancare a Davide Mengacci a “La domenica del villaggio”. In tre anni 126 paesi d’Italia: un regalo enorme. Le province salveranno questo Paese con le loro diversità, usi, costumi, cultura».
Un sì di troppo?
«Forse qualche no di troppo. E per alcuni film forse ho sbagliato a dirlo. Io volevo fare l’attrice di cinema, ho studiato 5 anni con una docente dell’Actor studio. Ma a casa mia sono sempre stati severi. Mi dicevano: se non ti prepari non lo fare, vieni sfruttata. Forse è anche per questo che ho detto spesso no: non mi sentivo abbastanza preparata».
Nel frattempo nella sua vita entra il teatro... «Grazie a Pino Quartullo. Anni prima volevo fare “Quando eravamo repressi” ma non mi prese sul serio. Anni dopo mi fa: “Perché non fai teatro?” “Nessuno me lo chiede”, risposi. E così mi volle in un suo spettacolo».
In “L’illusione coniugale” si ride parecchio…
«Moltissimo. Quando ho letto il testo me ne sono innamorata. Sono stata io a coinvolgere Attilio e Stefano. Quando decisi di portare in scena la commedia, era stata ceduta ad altri produttori. Ho atteso due anni che si liberassero i diritti. Ma quando una cosa deve andare va».
Il 17 febbraio saranno 60 anni. Che effetto fa?
«La cosa mi diverte molto. Secondo la cultura cinese nei primi 60 anni noi gettiamo i pilastri, dopo abbiamo le basi per disegnare la nostra storia. Sono curiosa: mi sento di poter riscrivere la mia vita sotto tutti i profili. Credo che ancora si possa morire di vecchiaia se si ha uno stile di vita sano. Io da 15 anni sono vegana. Certo, proprio oggi mi guardavo allo specchio e le rughe ci sono. Ma chi se ne frega: dentro sono giovane e ciò che conta è che possa ridere e lasciare dietro di me impronte pulite».