Pier Francesco Pingitore racconta i 60 anni del Bagaglino: «Tra Jackie, Cossiga e la Rai»
A Cagliari riceverà il premio alla carriera: «Partiti da una cantina siamo arrivati a 20 milioni di telespettatori»
Negli anni Novanta i suoi varietà oscillavano tra i 10 e i 14 milioni di telespettatori. Ascolti da Sanremo, insomma. Sul suo palcoscenico affollato da attori e primedonne i politici facevano a gara a farsi prendere in giro. Ma la storia del Bagaglino inizia molto prima, sessant’anni fa, con nomi che avrebbero segnato la storia dell’avanspettacolo e della televisione, come Oreste Lionello, Enrico Montesano, Pippo Franco e Gabriella Ferri. Artefice di quel marchio è stato Pier Francesco Pingitore, lucidissimo 90enne, che domani, 2 giugno, sarà a Cagliari alle 17 al Multisala Notorius Cinema per ricevere il premio alla carriera nell’ambito delle manifestazioni per ricordare Amedeo Nazzari in occasione del concorso di corti “Tre minuti di celebrità a Cagliari”. Saranno presenti anche Demo Mura e Valeria Marini.
Pingitore, lei da bambino cosa sognava?
«I miei sogni, alla fine, sono quelli che ho realizzato. Fare il giornalista, il teatro, il cinema, scrivere...».
Il suo primo approccio nel mondo dello spettacolo?
«I miei primi ricordi con il teatro sono con la claque. Ero al ginnasio. Pagavano 50 lire e andavamo a vedere praticamente di tutto: Gassman, Randone, Andreina Pagnani, Gino Cervi, Paolo Stoppa. Era molto divertente, dovevi solo battere le mani, ma senza giacca e cravatta non ti facevano entrare. Ricordo il debutto di Giorgio Strehler a Roma: applaudivo senza neanche sapere chi fosse».
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Come le venne l’intuizione del Bagaglino?
«Facevo il giornalista, ero redattore capo allo Specchio. A un certo punto con altri amici pensammo: perché non facciamo un cabaret come sfogo alla routine? Trovammo una cantina in vicolo della Campanella, nel quartiere di Panico, che ai tempi era un po’ malfamato. Iniziammo a fare i provini e la fortuna fu che tra i primi si presentò Oreste Lionello, che era un genio. Noi però non lo sapevamo, per noi era solo strano. Fatto sta che nel novembre 1965 facemmo l’inaugurazione: noi pensavamo 10-15 persone a sera, invece fu un successo incredibile».
Dovevate lasciare fuori la gente?
«L’intensità delle telefonate era tale che la ragazza che raccoglieva le prenotazioni finì sull’orlo dell’esaurimento nervoso. Chiamarono dall’ambasciata americana e chiesero quattro posti per la signora Kennedy. Lei disse che non c’era posto e attaccò il telefono. Questo è l’episodio più grottesco e allo stesso tempo glorioso della nostra storia».
Tra tanti attori e soubrette qual è stata la sua più grande scommessa?
«La scommessa vera e propria è stata il Bagaglino perché nessuno ci credeva. Presi in prestito i soldi dall’istituto dei giornalisti e siccome ero stato licenziato investii il milione della liquidazione per arredare questa cantina».
Perché questo nome?
«Io proposi Bragaglino in omaggio ad Anton Giulio Bragaglia, critico cinematografico dello Specchio. Tutti furono d’accordo, stampammo anche le tessere, finché non ci arrivò la lettera dell’avvocato dei familiari di Bragaglia che ci diffidava dall’uso del nome. Fu allora che Mario Castellacci, che era un poeta ma anche molto pigro, disse: togliamo la R e rimane Bagaglino. E così facemmo».
La prima primadonna del Bagaglino fu Gabriella Ferri.
«Gabriella è stata uno degli incontri fondamentali non solo della nostra attività ma della nostra vita. “Dove sta Zazà?” segnò il suo trionfo e quello degli attori della compagnia: facevamo 20 milioni di telespettatori. Poi quando approdammo al Salone Margherita cambiò anche il tipo di primadonna».
Le più famose sono Pamela Prati e Valeria Marini, due sarde. Che non si amavano…
«Pamela andò via perché le arrivò una grande offerta da Berlusconi. Ricordo che mi disse: “Cosa devo fare?”. E io: “Vai e prendi tutti i soldi che ti dà”. Si liberò il posto e un giorno che mi ero assentato dal Salone vidi nella mia postazione una sagoma alta, di spalle, con una cascata di capelli biondi. Si girò e notai subito il suo viso angelico. Era Valeria. Parlammo due minuti, la feci salire sul palco e poi le dissi: sei presa».
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Tra tanti personaggi lanciati c’è qualche irriconoscente?
«Qualcuno c’è, ma non vale la pena citarlo. Ho mantenuto buoni rapporti con tutti, anche chi non è stato grato».
I politici facevano a gara a venire al Salone Margherita. Il più ironico?
«Andreotti il più spiritoso. Ma anche Di Pietro si divertì parecchio da noi».
E Cossiga?
«Lui, essendo presidente della Repubblica, non poteva venire al Salone, ma mandò a chiamare Manlio Dovì, che andò al Quirinale con il costumista e il truccatore, e si fece fare l’imitazione».
Nel 1993 il Bagaglino lascia la Rai e va a Mediaset. Per lei è una ferita ancora aperta?
«Era la Rai dei professori, c’era voglia di ripulire, si respirava un clima dipietresco. Pur avendo un contratto per la stagione futura lo stracciarono. Fu una cosa molto triste, anche perché avevamo detto no a Berlusconi per mantenere la parola data alla Rai. Risolse tutto la persona da cui meno te lo aspetti: Angelo Guglielmi, che fece capire ai vertici quanti soldi avrebbe perso la Rai in termini di pubblicità. Si ricredettero e vennero anche a vedere lo spettacolo. Ma l’anno dopo, per paura che si ripetesse la stessa situazione, accettammo la proposta di Berlusconi».
Ma il Bagaglino è di destra o non è di sinistra?
«Direi che non è di sinistra. Chi fa questo genere di attività deve essere libero nei confronti di chiunque, non può avere una collocazione precisa in politica. Noi ci definivamo anarchici di destra: la prima annullava la seconda, e viceversa. La verità è che siamo stati sempre degli spiriti liberi e tali siamo rimasti fino a quando la Banca d’Italia non ha chiuso il Salone. E ancora non si capisce il perché».
Oggi su quali politici punterebbe per un ritorno del Bagaglino?
«Dei politici di oggi non ho una grande opinione. Li prenderei un pochino a mazzate. Non potrei non mettere Giorgia. Ci sarebbe anche Elly Sc.. come si chiama, non si riesce neanche a nominarla! Ma in questo momento la mia idea è uno spettacolo non di imitazioni ma che si chiama “E chi se lo ricorda più?”. Uno spettacolo sulla memoria di un paese che non ha memoria. Un viaggio nella memoria degli ultimi 60 anni Che sono gli anni del Bagaglino».