Frankie Hi-Nrg, pioniere del rap: «Oggi è dura, un flop e sei fuori»
L’autore di Fight da Faida: «Giravo in Fiat, suonavo nei piccoli club»
Sassari «Fino a quel giorno in cui, guardando la tv, appare un tipo che comincia a fare rap in italiano. Non era Jovanotti ma faceva rap in italiano, io ero sconvolto. Le rime che sentivo non erano dedicate a una ragazza ma parlavano di cronaca con una metrica mai sentita prima (…) volevo imparare a fare le rime come quel ragazzo in tv che sembrava arrivato dal futuro e che mi aveva cambiato la vita con un paio di strofe».
Il rapper outsider sbarcato in tv nel 1992 e capace di chiarire da subito i suoi temi e lo stile è Frankie Hi Nrg, all’anagrafe Francesco Di Gesù, torinese con origini siciliane che riecheggiano nel suono dello scacciapensieri, base nel brano d’esordio citato da Fibra, quella Fight Da Faida che sarà riconosciuta come la migliore canzone Rap della Storia della Musica Italiana dal mensile Rolling Stone Italia.
Rime infuocate contro la mafia e la corruzione e un inno alla ribellione nonostante tutto, il brano segna uno spartiacque nella musica italiana: il rap per raccontare temi sociali, prima che politici. L’anno dopo l’album di esordio di Frankie, Verba manent (1993), il primo album hip hop distribuito in Italia da una major.
Pioniere non a caso: a 24 anni si impone sulla scena e fa da apripista. Da chi era supportato?
«Eravamo una squadra di amici e avevo una grande guida in Luca De Gennaro a cui riconosco il merito di avermi aperto porte importanti e di avermi spiegato alcuni fondamentali. Io facevo domande, volevo imparare tutto su royalty, minimo garantito, e quando si è trattato di discutere il primo contratto discografico mi sono presentato anch’io».
Se Frankie ventiquattrenne esordisse oggi, cosa si troverebbe ad affrontare che a quelli della sua generazione è stato risparmiato?
«Quando esplose Fight da faida giravamo con una Fiat tra i piccoli club e le discoteche di tutta Italia esibendoci in show da 4, 5, 6 pezzi man mano che li scrivevo. Oggi mi avrebbero chiesto un album e di riempire un palazzetto e se non lo avessi riempito mi avrebbero scartato dicendo che faccio flop».
L’industria discografica costruisce un percorso pericoloso per i giovanissimi.
«Pensi ai ragazzi che hanno la disgrazia di far successo con la prima canzone. Oggi l’industria discografica è spietata, ti scarta con nonchalance se non raggiungi gli standard che lei stessa ha deciso essere i minimi per arrivare. Siamo nella stagione che dissangua i ragazzi fino ad estenuarli».
È la storia di Angelina Mango, Blanco..
«Di San Giovanni, Aka7seven che si è fermato per poter scrivere un album e al quale auguro il successo che merita, e di tanti altri».
Lei qualche serata flop se la ricorda?
«Certo, è quando ho imparato il rispetto per il pubblico esibendomi per tre persone in un gigantesco forno vuoto. Ho cantato stabilendo una relazione con loro e non nascondendomi, mi sono accollato i flop con onestà. Quando sento di serate o tour che saltano anche all’ultimo momento perché non sono stati venduti abbastanza biglietti penso che non va bene, che così si allontana il pubblico dall’artista. Il rispetto deve essere reciproco».
Le hanno mai proposto di fare il giudice in un talent?
«Sì e l’avrei anche fatto, perché no? Però ho ben chiaro il limite tra cosa potrei fare e cosa no e quindi non è andata».
La tv?
«È per vecchi. Ieri ho visto il momento di un “talent” (lo scriva tra virgolette) in cui uno dei concorrenti cantava ruttando, roba che una tv privata degli anni 80 non avrebbe mandato in onda».
Nell’epoca dei featuring ci si vuole più bene tra colleghi?
«No. Una volta c’era più solidarietà umana tra gli artisti, oggi si fanno più collaborazioni ma tutto è visto come un’opportunità per un clic in più».
Quest’estate Frankie Hi nrg mc è tornato sul palco con un progetto che ripercorre in una nuova chiave nuova il suo repertorio, lo show “Voce e batteria” con Donato Stolfi, batterista torinese.
«Una formazione rarefatta ed essenziale, uno show asciutto eppure ricco e pieno di energia proprio come lo immaginavo nel momento in cui abbiamo iniziato a riarrangiare i pezzi per la batteria. La novità sta proprio nella resa musicale e ritmica di brani che il pubblico conosce ma che non è abituato a sentire in questa veste».
Parole e ritmo, voce e batteria.
«Come nella definizione più semplicistica del rap. In tutte le date che abbiamo fatto finora (la prossima sarà l’8 agosto a Spinetoli, Ascoli Piceno) il denominatore comune è lo stupore del pubblico; gli amici che lavorano nell’ambito della musica hanno confessato di essere venuti un po’ prevenuti temendo l’esperimento fallimentare, invece è uno spettacolo da ballare e nello stupore tutti si muovono».
Produttore, autore, compositore, fotografo e videomaker, ha collaborato con i più grandi della musica tra i quali Giorgia, Raf, Daniele Silvestri, Simone Cristicchi, Roy Paci, Pacifico, Fiorella Mannoia, oltre agli americani Nas e RZA e ha supportato dal vivo David Bowie, Beastie Boys, Run DMC. È autore di una pietra miliare del rap, Quelli che benpensano (1997). Chi è oggi il suo pubblico?
«Quelli di ieri e quelli che si sono aggiunti; quelli che mi hanno scoperto in passato e altri strada facendo, in tempi più recenti i giovanissimi che trovo ai miei eventi, coinvolti dai fratelli maggiori o dai genitori, altri perché inciampano nei miei brani».
I benpensanti vengono a vederla?
«I benpensanti e chi si è abbeverato alla loro fonte raramente me li sono trovati ai concerti. Purtroppo non è una generazione estinta anzi è andata aumentando».
Essere o avere, oggi?
«Intorno è molto più l’avere, io non sono un’asceta fatto di puro pensiero, anch’io ho i miei materialismi ma cerco di essere autocritico (mai quanto lo sono nei confronti degli altri però, il notare la pagliuzza e non vedere la trave mi vede ancora protagonista».
Chi le piace nel pop?
«Le costruzioni ben fatte, mi piace Elodie perché offre musica, ballo, bellezza, perché ha coreografie e ballerine eccezionali, è un bello spettacolo».
Cosa nella vita ci fa cambiare?
«Le cose in generale, quelle belle, brutte, minime. Dipende sempre quando sei disposto a farti cambiare dalle cose che accadono».
Negli anni’90 a Roma c’era Il Locale in via del Fico, 180 metri quadrati e un piccolo palcoscenico in cui è cresciuta un'intera generazione di musicisti e attori (tra i quali Pierfrancesco Favino, Niccolò Fabi, Daniele Silvestri, i Tiromancino, Max Gazzè) e dove era normale incontrare i big stranieri e italiani. Ci si incontrava lì e partiva la jam…
«Sicuramente l’esperienza de Il locale è stata importante come per tutti quegli spazi che nascono in un momento speciale per far crescere gli artisti e far transitare in maniera libera la musica. Negli anni’90 quando mi trovavo a Roma era normale arrivare a Il Locale, e fuori da Il locale che erano due luoghi distinti e ugualmente importanti, e trovarsi a sentire un’esibizione di un gruppo di torinesi chiamati Subsonica o di quei Negramaro… A fine concerto non smontavamo gli strumenti ma li raggiungevamo per improvvisare».
I giovani oggi sono molto più soli?
«Gli è stata progressivamente negata l’esperienza della convivialità, del rito pagano del ritrovarsi in luoghi per fare festa e non per mostrare di essere in festa. Se vai al concerto devi acquisire contenuti per mostrarli sui social e dire io c’ero, ma devono essere sold out o sei andato a un flop, ricordiamolo».
E ricordiamolo!
«Siamo immersi in una sorta di machismo culturale, la divisione del mondo femminile in belle fighe e cessi è la stessa che in musica divide tra sold out e flop, che è l’orrore. Non esiste una scala di grigi e la soglia del flop è altissima».
A proposito di donne…
«Sono un maschio con un’idea di rispetto importante, un uomo appassionato di bellezza femminile che però guarda con affetto prima il cuore e poi il culo».