La Nuova Sardegna

L’intervista

Sal Da Vinci: «Rossetto e caffè e la mia vita è cambiata»

di Clarissa Domenicucci
Sal Da Vinci: «Rossetto e caffè e la mia vita è cambiata»

Dalla gavetta al successo planetario, il cantautore si racconta e parla anche degli amici: «Renato Zero mi fa sempre gli scherzi al telefono»

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Sassari Diventa virale sui social, entra nella Top 50 di Spotify e su Youtube conquista milioni di stream. Rossetto e caffè ha scalato le classifiche dei brani più ascoltati nel 2024, conquistato un disco d’oro, di platino e oggi quel ritornello cantato da tutti e amato dai bambini «sta facendo il giro del mondo. No, non era un tormentone estivo, ma un brano diventato una cosa di tutti che mi ha cambiato un po’ la vita», ci confessa in un bar di Catania dove si è esibito nel suo show Stasera che sera- Summer tour 2025.

Al momento dell’ordinazione scopriamo che Sal è convintamente astemio nonostante l’attacco del brano: «Ma che serata, da solo o in compagnia. Quanto ho bevuto senza te». Chi lo avrebbe mai detto.

Quarant’anni di carriera e poi in uno solo arriva tutto?

«In un certo senso sì, faccio quello che facevo un anno fa e che faccio da una vita, ma la popolarità e questo sostegno incredibile del pubblico ha sconvolto tutto, inaspettatamente».

Chi è il suo pubblico oggi dopo Rossetto e caffè?

«Quelli di ieri, cresciuti ma non invecchiati e la meravigliosa generazione Z che ha segnato la rinascita dando il via a quella che definirei la terza fase della mia vita».

Le precedenti?

«La prima è quella teatrale, a 7 anni scopro il palcoscenico e inizio a lavorare, dico addio alla spensieratezza dell’infanzia e al Super Santos nei vicoletti di Napoli. La seconda dai 16 anni, quando strimpellando canzoni di altri scopro di avere anche una voce e inizio il mio cammino con la musica».

La musica cosa rappresenta?

«La più grande amica, sincera, appassionata. La donna che avremmo tutti desiderato di avere, bella e complice».

Siete mai entrati in crisi lungo questi 40 anni?

«Neanche un giorno, spero non accada mai».

Se e come sono mutati i rapporti con i colleghi dopo il boom di Rossetto e Caffè.

«Ho sempre creato buoni rapporti con tutti ma oggi c’è un’attenzione diversa, la curiosità di conoscere il personaggio. D’altronde la canzone sta facendo il giro del mondo, c’è fermento».

Arrivare al grande successo con 40 anni di carriera alle spalle è?

«Stupefacente. Mi creda: non me lo sarei mai aspettato, sono felice».

Il 6 settembre a Napoli, in piazza del Plebiscito, festeggia 40 anni di musica, anche se in realtà sono qualcuno in più.

«Sarà una festa popolare e con me ci saranno tanti amici, da Stefano De Martino a Raf».

Sal Da Vinci, alias di Salvatore Michael Sorrentino, nasce per caso a New York nel 1969 dove suo padre, il grande Mario, re della sceneggiata napoletana, era impegnato in tour. Debutta nel 1974 nel mondo musicale duettando con il padre in “Miracolo e Natale” di Alberto Sciotti e Tony Iglio, da cui è tratta la sceneggiata omonima poi si aprono le porte del cinema con i film di Alberto Sciotti “Figlio mio sono innocente” e “Napoli storia d’amore e di vendetta”. Per un decennio calca i teatri di tutta Italia dando risalto alla “sceneggiata”, recita al fianco di Carlo Verdone in Troppo forte (1986) e nel 1993 decide di tornare al grande amore, la musica. Al Festival italiano di musica (Canale 5) si classifica al primo posto con Vera e il brano diventa un best-seller in Sud America fino a vendere 5 milioni di copie. Per Sal si aprono le porte della discografia italiana. Nel 1999 recita in “Opera buffa del Giovedì Santo”, dal 2002 al 2007 è il protagonista del musical di Claudio Mattone “C’era una volta... scugnizzi” (600 repliche), interpreta “Anime napoletane” e “Canto per amore”, spettacolo teatrale per la regia di Gino Landi che diventa anche il titolo del disco pubblicato dalla GGD Productions di Gigi D’Alessio. Sale per la prima volta sul palco dell’Ariston al Sanremo 2009 con il brano “Non riesco a farti innamorare” che conquista il terzo posto dietro Marco Carta e Povia.

Il brano per Sanremo 2026 ce l’ha?

«Ogni anno ho pensato al Festival ma non è arrivata la canzone giusta. È bello provarci però, perché Sanremo è una manifestazione unica, è la grande festa popolare italiana. Il pubblico non è mai predisposto all’ascolto come in quella settimana, ha voglia di affezionarsi ai brani».

Sta scrivendo?

«Certo, tra un concerto e l’altro lavoro ad un album nuovo ed ho avviato una collaborazione interessante con Federica Abbate. Ammiro le sue idee melodiche».

Chi è “il suo amico” nel mondo della musica?

«Certamente Renato (Zero). Ci siamo conosciuti per un album insieme, è scoppiato un bellissimo feeling e oggi siamo di famiglia. Sa che mi riempie di scherzi? Cambia voce al telefono e non ci capisco più niente, una volta anche al citofono mi ha fatto credere di aver sbagliato casa. “Ogni scherzo ogni tanto ci vuole” dice lui».

Chi apprezza tra i giovani artisti napoletani?

«Napoli ha sempre forgiato talenti ed oggi è tornata potente sul mercato. L’attenzione nazionale è su Geolier che non è un cantante ma è molto riconoscibile per le cose che fa, ha un suo suono, mi piace; tra i veterani Luché».

Pensa ad un featuring per il prossimo album?

«Perché no, però deve scattare qualcosa, un duetto deve essere pulito come la musica o si riduce a proventi e percentuali e ciò non mi appartiene. Per come lo intendo io deve essere un incontro, una partita a due giocata nel sentimento. La gente capisce quando scatta e quando no, per questo si compra meno musica oggi».

Ha collaborato con tanti grandi (Vanoni, Finizio, D’Alessio, Siani…) e con Lucio Dalla. Ci racconta un aneddoto insieme?

«Al Garda musical, un festival che premiava i musical dell’anno, incontro nel retropalco Lucio che mi dice nella confusione: “devi venire a Capri, faccio una serata per ringraziare gli ormeggiatori del porto, ti aspetto”. Vado. Arrivo a Capri e vedo il palco, bellissimo: un pianoforte con un palloncino, quello era il palco di Dalla, sospeso sul mare. Al mio momento il barchino sul quale mi avevano fatto salire per raggiungere Dalla si avvicina alla piattaforma ma io non vedo uno scalino e cado in mare. Ero fradicio. Lucio rideva tanto che non riusciva più ad andare avanti, non posso dimenticare la sua faccia».

Sal da Vinci nel privato è marito di Paola dal 1992: un’unione felice che ha dato alla luce due splendidi figli, Annachiara e Francesco, che a loro volta vi hanno regalato tre nipoti.

«Il più grande ringraziamento al cielo è per loro, per averceli mandati: i figli, che ti fanno gioire e dannare e sono tutto e poi i nipoti che arrivano a farti conoscere un amore nuovo e immenso che ti manda ai pazzi».

Pensando ai bambini cosa teme di più?

«Vedere i telegiornali è un incubo, le guerre sembrano una manifestazione dell’inferno. C’è ancora bisogno di tutto questo? Innescare conflitti è una strada demoniaca e rivendicare spazi con il sangue una cosa campata in aria, anacronistica, terribile. Io temo l’abitudine davanti ai disastri umani, come quando perdiamo una persona cara e alla fine ci abituiamo all’assenza. Temo l’abitudine all’ingiustizia, questo lo vorrei scongiurare».

Suo padre è stato un faro nella sua esistenza. Cosa gli direbbe se avesse ancora il tempo?

«Lo abbraccerei fortissimo ringraziandolo di tutto il bene che ha voluto alla famiglia e gli domanderei che pensa di quello che mi sta accadendo, tanto lui vede tutto».

Ha imparato a gestire la lontananza dal nipotino Antonio, l’unico che abita in un’altra città?

«Le cose vanno meglio perché da Arezzo si sono trasferiti a Guidonia, ora riesco a vederlo di più. Certe volte devo frenarmi; io sono troppo amorevole, vorrei vivere i nipoti tutti i giorni anche se so che non è giusto. Come mi ricorda mia moglie».

Che le dice?

«Che i ragazzi devono fare la loro vita e noi la nostra, ma a me da un lato entra e dall’altro esce perché poi faccio sempre di testa mia. Lo sa? (ride)» .

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