Peter Gomez: «Sandra Milo mi fece piangere, deluso da Valentina Nappi, ora sogno Dell’Utri»
Il giornalista racconta i suoi incontri tra carta stampata e tv: sabato sarà a Guasila al festival dell'Altrove
La sua è una delle grandi firme della carta stampata, dal Giornale di Montanelli all’Espresso, fino al Fatto Quotidiano, di cui è uno dei fondatori e direttore della versione on line. Dal 2017 Peter Gomez si è specializzato nelle interviste televisive con “La confessione”, prima sul Nove e ora su Rai 3, dove fa “confessare” davanti alle telecamere personaggi della politica, dello spettacolo, del giornalismo. Sabato però toccherà a Matteo Porru, direttore artistico del Festival dell’Altrove, provare a confessare Gomez. L’appuntamento è alle 22 al Teatro Fratelli Medas di Guasila.
Gomez, il merito di una bella intervista è di chi fa le domande o di chi dà le risposte?
«L’intervista sulla carta è un pezzo scritto da altri che firmi tu, ma per dare all’altro la possibilità di scriverlo bene devi fare prima una grossa ricerca. Non basta che le domande siano buone, serve documentarsi per fare sì che venga fuori una intervista come un racconto, ma per riuscirci chi fa le domande deve immaginarsi prima quali potrebbero essere le risposte».
L’intervista più riuscita?
«Spero sempre la prossima. Quella che invece mi ha commosso più di tutti è l’intervista con Sandra Milo. Di lei avevo una opinione sbagliata, ho sempre pensato fosse un’oca. Invece, mi sono trovato davanti una donna libera. Mi raccontò la storia di sua figlia, che appena nata fu dichiarata morta e nonostante ciò una suorina la prese in braccio e la piccola riprese a vivere. Stavo piangendo».
Chi invece l’ha delusa?
«Anni fa rimasi deluso da Valentina Nappi. Tempo prima avevo intervistato Malena, un personaggio aperto, simpatico. Da Nappi avevo tante aspettative, la pornostar filosofa, invece non ci siamo presi, non è stata l’intervista che immaginavo».
E tra i politici?
«Premesso che io non amo le interviste aggressive, ma quando faccio una domanda voglio una risposta. Recentemente in radio ho dovuto fare a Giorgia Meloni tre volte la stessa domanda. Non perché fosse lei, ma perché qualunque politico tende a dire quello che vuole. Ricordo una intervista difficilissima con Matteo Renzi a “La confessione”: chiedevo cose biografiche, lui svicolava. “Voglio parlare di politica”, diceva. Ma era una intervista biografica. Lui non voleva parlare di certi aspetti della sua vita».
Chi vorrebbe intervistare?
«Non glielo ho chiesta ancora, ma mi piacerebbe Marcello Dell’Utri per la storia che rappresenta, e non mi riferisco solo a quella giudiziaria. Lui e Fedele Confalonieri sono gli ultimi testimoni di quel periodo, di una storia italiana pazzesca di uomini arrivati al potere massimo. Ora che mi ci ha fatto pensare provo a chiedergliela. Almeno per farmi dire di no».
Come sta oggi la professione giornalistica?
«Malissimo, peggio del solito, perché la crisi degli editori fa sì che i giornalisti siano meno liberi. Una volta un direttore poteva permettersi di dire di no all’editore, ora è molto più difficile».
L’attentato a Ranucci è un salto indietro a un’epoca che pensavamo archiviata.
«Sigfrido Ranucci è stato colpito come sono stati colpiti giornalisti meno famosi di lui, dalla collega di Fanpage a cui è stata fatta ritrovare una testa di capretto ad altri a cui è stata bruciata l’auto. Non viene colpito il giornalismo libero, ma i giornalisti liberi che fanno inchiesta, che scoprono cose che carabinieri e magistrati non hanno ancora scoperto o mettono un faro su realtà in cui secondo alcuni non avrebbero dovuto metterlo».
Lei è nato (per caso) a New York, la città-simbolo del Novecento: che effetto le fa l’America di Trump?
«Mi sembra un Paese estremamente diviso. Trump alza continuamente i toni e questo è molto in contrasto con il free speech che mi piaceva. Ma non sono così preoccupato. Penso che fra due anni e mezzo Trump non ci sarà più. Gli Usa hanno già vissuto periodi bui, ricordiamo il maccartismo, ma continuo a pensare che la democrazia americana abbia abbastanza anticorpi per uscirne fuori».
La tregua Israele-Hamas: chi è il vincitore?
«Sicuramente Trump finché dura la tregua che lui ha imposto più a Netanyahu che ad Hamas. Chi ha perso sono i palestinesi, sono certo troveremo altre migliaia di morti. E ha perso l’occidente. Abbiamo continuato a ripetere che Israele aveva i nostri valori, ma se c’è un civile accanto a un terrorista e tu lo bombardi o attacchi un ospedale non hai i nostri valori».
Meloni continua ad avere i sondaggi favorevoli: sarà difficile scalzarla da Palazzo Chigi?
«Sarà difficile, ma nessuno sa cosa accadrà da qui a due anni. Ci sono due variabili, stipendi e sanità, soprattutto quest’ultima può pesare sull’elettorato anziano. Si dice che la destra stia alzando i toni per spingere i suoi ad andare a votare, ma non è detto che questi toni non spingano gli altri. Di certo, a meno che non cambino la legge elettorale, non potrà finire 60 a 40 come nel 2022 con Pd e M5s divisi».
Schlein, Conte, Salis: chi sarà lo sfidante di Meloni alle prossime politiche?
«Non ne ho la minima idea. Forse in questo momento il maggiore avversario della Meloni è la Meloni stessa. Poi magari la situazione cambia e fra sei mesi sarà uno di quelli che dice lei».