La Nuova Sardegna

Alghero

«Troppi “mangifici” ma la vera cucina è poca»

di Gian Mario Sias
«Troppi “mangifici” ma la vera cucina è poca»

Per lo chef del Tuguri «chi cerca di lavorare su certi standard poi deve svendere» «Le stelle? Non le vogliamo e non servono, se non a far aumentare i prezzi»

27 agosto 2016
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ALGHERO. «Ad Alghero è pieno di “mangifici”, ma pochi posti fanno davvero cucina». Libertà è poter dire quello che si pensa. Senza peli sulla lingua, senza alcuna remora. Con il diritto, conquistato sul campo, di dare sfogo ai propri pensieri, anche a quelli più antipatici. Ecco perché da uno che è un ristoratore, ma soprattutto è un uomo libero, può capitare di sentire anche affermazioni a bassissimo contenuto di diplomazia. «In questa città ci sono tantissimi posti in cui si fa da mangiare, ma fare cucina è un’altra cosa».

Benito Carbonella, giramondo dei fornelli, nuorese di 74 anni, algherese dal 1972, al timone da 41 anni del Tuguri, il ristorante fondato da lui in via Majorca, dopo una vita di lavoro, impegno, sacrifici e – per fortuna – moltissime gratificazioni, si prende la licenza di dire quello che gli pare. Da veterano della ristorazione nella Riviera del corallo, ripercorre alcune tappe e accusa. «Non si bada più alla qualità, anche gli investimenti sulla promozione dei prodotti locali sono estemporanei, sono demagogia, fatte così sono tutte fesserie», attacca lo chef che ad Alghero tutti considerano un’istituzione. «Io ho l’abitudine di alzarmi molto presto, prepararmi e andare al mercato, a comprare il nostro pesce – dice – altri propongono quello greco o degli allevamenti di altre parti, comprati fuori da Alghero». Non è la stessa cosa. «E poi la qualità è anche nel servizio che si offre, qui al Tuguri lavorano 8 persone per 24 coperti, neanche il Ritz di Parigi ha un rapporto di un dipendente per ogni tre clienti», dice tra le risate signor Benito.

Non è in cerca di pubblicità. «Siamo sulle guide da trent’anni, siamo finiti in un romanzo noir spagnolo, con un gran ritorno d’immagine per la città, gli addetti ai lavori dicono che siamo i migliori della città e la clientela è sempre contenta di quello che offriamo», spiega. «Quanto alle stelle, non le vogliamo – ridacchia ancora – quelle servono solo per far aumentare i prezzi di un locale».

Andato via da Nuoro a 18 anni insieme alla moglie, Carbonella ha vissuto da stagionale, tra la Svizzera e la Germania, per più di dieci anni. Poi nel 1972 è approdato ad Alghero, se ne è innamorato e non si è più mosso. È stato maitre all’hotel Capo Caccia, ha gestito il ristorante del Corte Rosada e del Solemar, oggi Carlos V, e nel 1975 ha comperato un vecchio rudere e ne ha fatto il Tuguri. Nel frattempo ha insegnato cucina a più riprese, andando in pensione nel 2007. Se la ristorazione di Alghero non è più quella di una volta, la colpa è della classe dirigente, su questo Benito Carbonella non ha dubbi.

«La città è piena di problemi, dai rifiuti al traffico, dai parcheggi al suolo pubblico, Alghero sembra non essere consapevole dell’amore magnetico che suscita nelle persone, che la trovano bellissima». La gara è al ribasso. «Chi cerca di lavorare su certi standard deve svendere il proprio prodotto». Tanto per non essere autoreferenziale, Carbonella cita anche altri posti dove si può sperimentare una buona cucina, «a iniziare dal Pavone con il quale collaboriamo, e per Alghero è una novità assoluta», dice il ristoratore più longevo della città, professionalmente parlando.

L’invito alla classe dirigente algherese è chiaro. «Bisogna incentivare seriamente, e non per finta, la qualità – dice Carbonella – e l’utilizzo dei prodotti locali». Ma bisogna anche fare in modo che la gente «possa godere dello spettacolo che questa città potrebbe rappresentare senza i problemi attuali», insiste. E ultimo, ma non per importanza, «occorre fare in modo che la gente possa continuare a venire».

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