La Nuova Sardegna

Cagliari

L’intervista

«Manuela Murgia non si è suicidata, gli indizi ignorati raccontano altro»

di Andrea Massidda
«Manuela Murgia non si è suicidata, gli indizi ignorati raccontano altro»

L’inchiesta sulla morte della 16enne di Cagliari: il giornalista Pino Rinaldi analizza gli errori

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Cagliari Ha raccontato i grandi casi della cronaca nera italiana, quelli che hanno fatto tremare le aule di tribunale e riempito le pagine dei giornali, ma anche le storie dimenticate, sommerse dal tempo e dall’indifferenza. Sempre con lo stesso rigore, lo stesso fiuto da cronista di razza. Pino Rinaldi, per 27 anni volto e anima di “Chi l’ha visto”, oggi guida su Rai2 la trasmissione “Detectives”, dove i delitti – risolti e no – vengono dissezionati attraverso le carte processuali e le voci dei protagonisti. Tra questi, il caso di Manuela Murgia, la sedicenne di Cagliari trovata senza vita il 5 febbraio 1995 nel canyon di Tuvixeddu.

All’epoca tutto fu archiviato come suicidio. Ma a due mesi dalla puntata che ha riacceso i riflettori su quella morte mai davvero chiarita, è arrivata una svolta: lo scorso 30 maggio la procura di Cagliari ha riaperto le indagini, iscrivendo nel registro degli indagati l’ex fidanzato della giovane.

Pino Rinaldi, partiamo dall’inizio di questa brutta storia: quali furono le principali ipotesi investigative subito dopo il ritrovamento del corpo di Manuela?

«La squadra mobile di Cagliari ebbe da subito le idee molto chiare: una morte violenta. Manuela poteva essere stata strangolata. Del resto, il cadavere era stato trovato in un canalone del canyon e lì c’erano chiari segni di trascinamento del corpo. In più, a 150 metri, erano stati rinvenuti alcuni suoi oggetti. Insomma, se si fosse davvero lanciata nel vuoto per suicidarsi la polizia avrebbe trovato tutto quanto vicino a lei. Ma soprattutto, gli effetti della caduta sarebbero stati ben più vistosi sul suo corpo. Inizialmente venne stabilito che l'altezza era di pochi metri, ma la perizia successiva eseguita dal perito della parte civile rivelò che i metri erano più di trenta. Il che significa precipitare alla velocità di 90 chilometri all’ora».

E invece si arrivò a ipotizzare il suicidio: perché?

«Fu il referto dell’autopsia a suggerire questa ipotesi: parlava di morte dovuta a precipitazione. A quel punto prese piede l’idea di un suicidio. Inoltre la ragazza venne descritta come una sorta di cenerentola, si parlò dei dissidi tra lei e la madre, di una relazione sentimentale chiusa da poco e contrastata dai genitori, dell’ex fidanzato molto più grande che probabilmente le chiedeva più di quanto lei, a 16 anni, fosse disposta a offrirgli. Cose abbastanza normali nell’adolescenza. Ma una lettura sbagliata del medico legale convinse il magistrato ad archiviare il caso come il risultato di un gesto estremo. E questo nonostante le iniziali intuizioni e deduzioni della squadra mobile, che si mosse immediatamente raccogliendo anche testimonianze importanti. Per esempio quella di una donna vicina alla famiglia sicura di aver visto Manuela salire il 4 febbraio, giorno della sparizione, su un’automobile. Precisamente su una berlina di colore blu poi risultata compatibile con quella del cugino dell’ex fidanzato».

Ci sono stati comportamenti strani, minacce o violenza nella vita di Manuela?

«Nel 2012 la sorella Elisabetta riportò alla procura della Repubblica alcuni ricordi: soldi nascosti, telefonate misteriose che Manuela riceveva, e il suo pianto disperato nei giorni precedenti la morte. Si riaprirono le indagini». E che cosa emerse? «Purtroppo nulla di determinante. Dopo un anno fu richiusa. Ma dieci anni dopo, grazie a nuovi esperti forensi e legali, sono state riscontrate incongruenze: il punto di caduta era troppo in alto, i traumi incompatibili con un tonfo, la canottiera scomparsa, l’amuleto tradizionale sardo spostato dalla biancheria alla tasca. Indizi che fanno pensare a una morte violenta e a una successiva messa in scena».

La possibile svolta?

«Qualche giorno fa è stato notificato l’avviso di garanzia all’ex ragazzo, Enrico Astero, di anni 54. L’ipotesi accusatoria è omicidio volontario aggravato».

Che cosa ipotizzano gli esperti, a questo punto?

«Che Manuela – dopo un rapporto sessuale, forse violento – possa essere stata investita e poi trasportata nel canyon. Anche gli indumenti della ragazza raccontano una storia diversa da quella ufficiale». Adesso dagli accertamenti tecnici non ripetibili sugli indumenti di Manuela, rinvenuti dopo trent’anni in buono stato, che elementi si cercano? «Tracce biologiche, relativi profili genetici ed eventuali impronte papillari latenti, in particolare sugli indumenti intimi. In vista di questi accertamenti le parti offese, seguite dai legali Mele, Marras e Lay, in aggiunta ai loro consulenti scientifici Introna, Demontis e Caprioli hanno nominato il genetista Emiliano Giardina, mentre l’indagato, difeso dall’avvocato Marco Fausto Piras, ha nominato l’ex comandante dei Ris di Parma Luciano Garofano».

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