La Nuova Sardegna

Nuoro

La Piroddi cervello della piovra ogliastrina

Mauro Lissia
La Piroddi cervello della piovra ogliastrina

Ribaltato il giudizio del tribunale di Nuoro: 17 anni all’ex sindacalista, 20 a Pischedda

10 giugno 2008
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CAGLIARI - A Barisardo l’associazione mafiosa c’era. Tra il 1996 e il 1998 omicidi e bombe corrispondevano a un disegno elaborato per condizionare la vita politica del paese, annientare gli avversari e conquistare il potere locale. A sei anni e mezzo dalla sentenza del tribunale di Lanusei («una lettura angelica dei fatti» l’ha definita il pg Alessandra Pelagatti nella requisitoria del 31 marzo) il teorema della Dda di Cagliari è dimostrato dalla Corte d’Appello: l’ex segretaria della Cgil Maria Ausilia Piroddi era la mente della piovra d’Ogliastra, il suo amante Adriano Pischedda il braccio operativo. Col ‘processo Tuono’ è la prima volta nella storia giudiziaria dell’isola che il famigerato ‘416 bis’, il reato di promozione e costituzione di un’associazione di stampo mafioso, compare in una sentenza.

Altri sette imputati - Sebastiano Puggioni, Mario Cabras, Giuseppe Carta, Sandro Demurtas, Enrico Deiola, Giampaolo Locci e Vittorio Salis - sono colpevoli di aver partecipato all’associazione criminale, una responsabilità non di vertice, comunque forte, che si tramuta però in pene complessivamente più lievi rispetto alle richieste della Procura generale ma molto più elevate in confronto al giudizio di primo grado. Allora le assoluzioni furono sei e le condanne nove: ieri mattina, con un capo d’imputazione sfrondato dalle prescrizioni (spariti i danneggiamenti, le minacce e parte delle contestazioni minori legate ad armi ed esplosivi) i giudici d’appello hanno condannato tutti e undici gli imputati rimasti sotto processo, gli ultimi due - Salvatore Puggioni e Marco Salis - colpevoli di fabbricazione, detenzione e porto illegale d’armi ma estranei al reato associativo.

Nel complesso la sentenza di Lanusei esce stravolta dal passaggio in appello: due assoluzioni (Piroddi e Salvatore Puggioni) sono tramutate in condanne, otto pene vengono rideterminate e una (Marco Salis) ritoccata verso il basso ma solo per via della prescrizione. La Piroddi e Salvatore Puggioni sono interdetti per sempre dai pubblici uffici e sospesi dalla potestà di genitori, così come Mario Cabras, Giuseppe Carta e Sandro Demurtas. I giudici hanno stabilito anche provvisionali immediatamente esecutive di diecimila euro a favore delle parti civili, col pagamento delle spese di giudizio. I giudici hanno letto il dispositivo della sentenza alle undici e mezzo: nessuno degli imputati era presente, la difesa era rappresentata in buona parte dalle seconde linee.

Che l’aria fosse diversa, rispetto al tribunale di Lanusei, s’era intuito il giorno della requisitoria. Un atto d’accusa durissimo, quasi sferzante nei confronti dei giudici del primo grado chiuso con richieste di condanna per 101 anni: «In primo grado - aveva detto il pg Pelagatti - era stata data una lettura a tratti superficiale dei fatti di Barisardo». Perchè in Ogliastra la mafia c’era, col suo carico di bombe e fucilate. C’era «l’abbraccio mortale, lo strettissimo rapporto criminale fra Maria Ausilia Piroddi e il suo amante Adriano Pischedda, un rapporto insieme affaristico e sentimentale». Per l’accusa l’ex segretaria della Cgil voleva-doveva diventare sindaco, provare a fermarla equivaleva a rischiare la pelle. E’ tutto scritto nelle carte processuali del ‘processo Tuono’, carte ingiallite dal tempo che raccontano ancora e chiaramente una storia senza precedenti nell’isola, storia ricostruita con determinazione dai pubblici ministeri Mario Marchetti e Fabrizio Tragnone, cui il tempo e altri giudici hanno dato ragione. Quella di una piovra che tra la fine del 1996 e la fine del 1998 avrebbe avvinto Barisardo in una stretta di piombo.

Col bellissimo paese sul mare messo a ferro e fuoco da un manipolo di delinquenti, pronti a tutto pur di prendersi il governo e gestire gli appalti pubblici di una prossima edificazione turistica. Per l’accusa ci sono le armi «che riconducono tutte allo stesso gruppo criminale e legano gli attentati all’omicidio del sindacalista Franco Pintus» per il quale la Piroddi ha preso l’ergastolo come mandante. Ci sono i racconti dettagliati della collaboratrice di giustizia Donatella Concas «giudicata credibile in altri due processi, fino alla Cassazione» che regge «all’interrogatorio di due pubblici ministeri e a quattro udienze di controesame da parte di uno stuolo di avvocati qualificati e agguerriti». La Concas che registra nella mente le confidenze degli amici Pischedda, Mario Cabras e Giampaolo Locci e le riferisce («fedelmente») ai magistrati.

C’è il movente: l’ambizione sfrenata, l’ansia della Piroddi «determinata a riprendersi un ruolo di potere dopo che la Cgil l’aveva emarginata». Dunque non più solo una somma di attentati, separati uno dall’altro e riconducibili a responsabilità individuali come aveva in sostanza concluso il tribunale di Lanusei. Ma «un’organizzazione dotata di un arsenale, quello che verrà scoperto al campeggio ‘Ultima spiaggia’, un’organizzazione ispirata da un movente comune». Un partito trasversale, con la Piroddi che un tempo mostrava il pugno per salutare i compagni del Pci e poi lo usa per colpire chiunque ostacoli il suo cammino. Il capo era lei. Gli altri, con compiti e poteri diversi, affiancavano ubbidienti la sua ascesa esplosiva.

Il pg Pelagatti l’ha detto con chiarezza: le due sentenze della corte d’assise di Cagliari, successive a quella di dicembre 2001, i due ergastoli definitivi inflitti alla Piroddi e al suo clan per gli omicidi del sindacalista Franco Pintus e del forestale Pierpaolo Demurtas, sono «estremamente importanti» per consolidare l’impianto accusatorio del processo Tuono. Il quadro le è lo stesso, i fatti sono strettamente collegati e dimostrano - per l’accusa - un disegno preciso e condiviso dagli imputati: influire sul voto delle elezioni comunali, tagliare fuori gli avversari del centrosinistra per aprire la strada a una lista civica dove la presenza di un’ex comunista militante come la Piroddi deve conciliarsi con quella di esponenti di Alleanza Nazionale e di Forza Italia: «Esserci riusciti - ha sostenuto il pg Pelagatti - significa aver condotto un lungo lavoro di preparazione, un lavoro destinato a guadagnarsi la credibilità all’interno di un centrodestra ignaro della caratura criminale della candidata a sindaco...».

L’attentato a Giuseppe Fanni, esponente di punta dell’allora Ppi, segna per l’accusa «l’avvio della campagna di intimidazioni». Ed è proprio Fanni «a riconoscere subito la matrice politica di quelle dodici fucilate sparate ad altezza d’uomo contro la finestra della sua cucina». Fanni abbandonerà la politica per dedicarsi solo al sindacato e per il pg il ‘partito’ della Piroddi andrà avanti con la strategia della violenza: «Non solo attentati, ma precisi atti politici che trovano ampia e puntualissima eco sulla stampa». Compresi quelli, realizzati a tavolino, contro la stessa Piroddi che cerca di assumere artificialmente un ruolo antagonista rispetto a chi si affida alla politica delle bombe.
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