Solo il turismo sostenibile salverà le zone interne
Vista la scarsa densità demografica è fondamentale l’intervento pubblico Il Nuorese deve puntare le sue carte sull’ambiente e sull’agroalimentare
NUORO. Giusto 40 anni fa iniziava a produrre a Ottana la fabbrica chimica dell’Eni, grazie ai fondi del secondo piano di rinascita. Negli impianti 2.700 operai e altri 1.300 nell’indotto, divisi nella lavorazione di fibra acrilica, Pet (la plastica per le bottiglie) e poliestere. Poi è arrivato il settore tessile, con telai a Macomer e Siniscola. Così come nella stessa media valle del Tirso, nei primi anni ’90, in seguito allo sbarco del gruppo Polli-Legler, finanziato con una fetta dei mille miliardi del governo per la Sardegna centrale, garantiti dal presidente del Consiglio Giulio Andreotti, che in quei giorni si auto-nominò “ministro per la Sardegna”.
Tre siti e altri 2.000 posti, finiti per intero nel libro paga dell’azienda tessile bergamasca. Oggi di quel patrimonio venuto su in quattro decenni di impieghi e redditi non rimangono se non 400, 500 dipendenti per lo più impiegati tra centrale termoelettrica e produzione del Pet, di Ottana Polimeri, comunque da tempo a rischio di esaurimento.
Il Nuorese è provincia di cassintegrati, 1.300 dei quali usciti proprio dalla Legler. Se dal numero di operai si passa al computo del tempo di assistenza da parte dell’Inps fanno tremilioni di ore all’anno. Con tutte le incognite dell’emergenza, che è economica e ancora di più sociale. Questioni delle quali si è tornati da poco a trattare con l’economista Giulio Sapelli, a Nuoro per il convegno “La famiglia che resiste alla crisi”, promosso da Confcommercio.
Sostegno alle famiglie. Tra un invito al Governo a sostenere la famiglia, anche come stimolatore di beni e servizi, e ad allentare la politica di austerity, molte parole sul Nuorese, da parte del docente di Economia politica alla Statale di Milano: «Siamo sempre davanti, ahimè, allo stesso problema: la Sardegna, soprattutto nelle sue aree interne, è caratterizzata da un difetto sostanziale: è una regione scarsamente antropizzata, cioè ha una scarsità demografica molto, molto forte. Naturalmente dal punto di vista teorico, confermato sempre nella pratica, le regioni (non dico le nazioni) caratterizzate da non crescita demografica è quasi impossibile che abbiano una crescita economica. Qui c’è da lavorare su molti strumenti».
«Bisogna in primo luogo sostenere la famiglia, con azioni che non possono non venire se non dalla mano pubblica».
Crescita demografica. Questo non è assistenzialismo, ma misure dirette a favorire il tasso di natalità. Nel campo produttivo, la necessità di interventi eccezionali, dunque. Ma non quelli promossi negli anni ’50 e ’60, con un’industrializzazione, del tipo chimico-siderurgico, calata dall’alto, che sono stati un colossale fallimento».
«Contrariamente a quella esperienza, nel Nuorese e più in generale in Sardegna, si ha bisogno di estesi investimenti a debole capitale fisso, ma a forte intensità di lavoro».
«Quali sono: un turismo sostenibile. Basta con le seconde case, ma proliferazione di alberghi, costruzione di infrastrutture leggere, che non deturpino il patrimonio e consentano un turismo tutto l’anno. Tra le scelte è valida quella degli alberghi diffusi. E poi, investimenti, con finanziamenti europei e non, di 20, 30mila euro da dare alle piccole e medie aziende commerciali, per creare ristrutturazione dell’attività commerciale ed edilizia».
La pianificazione. In un volume pubblicato nel 2011, “L’occasione mancata” (editrice Cuec), l’industrializzazione sarda pianificata negli anni ’60 è stata al centro dell’analisi di Giulio Sapelli, anche per il suo ruolo di consulente di Eni e Olivetti. Contenute le critiche anzidette e le alternative appena ribadite. L’alternativa era possibile già in quel tempo?
«Come no. Negli anni ’50 l’Ocse, in collaborazione con la Fondazione Olivetti promosse un piano di crescita della Sardegna. Era fondato non su grandi investimenti a capitale fisso, non cattedrali nel deserto – che poi non erano nel deserto, ma in un’agricoltura che stentava a svilupparsi – ma proponeva la creazione di una rete di piccole-medie imprese, cooperative, che avrebbero potuto generare una crescita endogena, puntando sulle risorse interne».
La strada del passato. «E, invece, quella strada lì è stata totalmente abbandonata, perché sono stati investiti milioni di euro, soprattutto con un disegno politico. Allora, l’idea della Democrazia cristiana era di contrapporsi al Partito comunista, creando essa una sorta di proletariato che non votasse per il Pci, ma per la Dc. Era un’idea senza nessuna validità industriale. E, alla fine, si è distrutta sia la prospettiva industriale, sia quella politica, perché i partiti si sono frantumati lo stesso. E la società economica è andata anch’essa in frantumi, no?, perché le grandi industrie sono entrate in crisi e per sostituirle non c’è stata la media e piccola impresa».
Dall’occasione mancata a quella “alternativa”, indicata dal professore, a cui nella provincia di Nuoro si pensava di arrivare con il Contratto d’area, del 1998, finanziato con 190 miliardi di lire dello Stato. Delle 29 fabbriche solo un paio però sono decollate, surclassate da fallimenti e mancati avvii, dei quali si è interessata la magistratura.
La chimica. L’industria nel cuore dell’isola continua a essere quel poco avanzato dalla chimica, con la necessità inderogabile di andare oltre, già nel medio periodo.
Un primo tassello sono i 10 milioni della Regione (nel fondo di 22 milioni per le aree di crisi), da impiegare per le infrastrutture e cofinanziare la fiscalità di vantaggio, il cui intervento dovrà superare lo scoglio del ministero. Sempre con Cagliari sono aperti i tavoli tematici, del progetto per il Nuorese, con punti riguardanti agroalimentare, cultura, ambiente, e ancora servizi e infrastrutture.
Scelte in linea con il credo di professor Sapelli: «La Sardegna gode di un ambiente naturale straordinario e vi si possono attrarre delle intelligenze. Lo stesso Crenos, il Centro di ricerca da dove proviene il governatore Pigliaru, ha attirato economisti da tutto il mondo. Si potrebbero creare centri di eccellenza, che formino studiosi. Io penso che nella materia agroalimentare qui si possano fare cose straordinarie. Il problema qual è? E che dobbiamo imparare che senza la mano pubblica non si può avere uno sviluppo endogeno. C’è bisogno di rinegoziare il tre per cento, di rinegoziare Maastricht: se stiamo all’interno dei parametri europei, la Sardegna è morta».
L’Europa. «Ci sono sostenitori di una politica di reindustrializzazione e di nuova presenza dello Stato. Allora, c’è bisogno di tutto: c’è bisogno di sostenere la società economica, i piccoli e medi imprenditori, non con assistenzialismi, ma con finanziamenti mirati. Penso a una rete di scuole professionali, che a 16-17 anni portino i ragazzi a lavorare. C’è bisogno che i ragazzi, in condizioni come la Sardegna, lavorino giovanissimi. Non possiamo più permetterci il lusso, sociale e morale, di tenere ragazzi sino a 30 anni che non sanno cosa fare». Nell’attesa di un settore produttivo e di lavoro non strumentale alle logiche politiche e con i fondamenti delle leggi economiche, si deve ancora fare molto affidamento sugli ammortizzatori sociali.
L’Inps. Nel Nuorese è proprio l’Inps a detenere l’insolito primato di azienda dalle maggiori disponibilità economiche, con 52mila pensioni erogate su 160mila abitanti, ai quali si aggiungono gli assegni di Cig e disoccupazione, rispetto ai quali tuttavia non manca un certo clima di fronda nel Governo. Il vuoto di redditi potrebbe diventare profondo. Giulio Sapelli porta ancora la sua proposta, dove l’economia va accompagnata dal solidarismo: «Bisogna essere pragmatici e non fanatici. Lo stato sociale ha creato questa sorta di sostituto del welfare. Non stracciamoci le vesti, continuiamo a usarlo. Perché se cominciamo a togliere i soldi alle famiglie, ai vecchi, questa situazione diventa esplosiva. Nello stesso tempo vanno create le opportunità produttive, per non dover essere dipendenti dall’assistenza».
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