La Nuova Sardegna

Nuoro

Un Centro per rinascere dopo il carcere

di Luciano Piras
Un Centro per rinascere dopo il carcere

Don Borrotzu: «Presto nella nostra struttura parrocchiale avremo uno spazio a disposizione dei bambini figli dei detenuti»

04 dicembre 2015
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NUORO. Una raffica di vento gelido picchia forte a Badu ’e Carros. Il sibilo della tramontana si incunea nel quartiere e ulula come un tormento. E anche le auto, vanno e vengono, senza sosta, un ronzio continuo, un via vai incessante. Eppure c’è un angolo di pace da queste parti, riservato e protetto come fosse un piccoletto ancora in fasce. Non c’è vento che tenga, sotto la croce del campanile: qui, nel Centro di aggregazione sociale della parrocchia Beata Maria Gabriella, regna sovrano il silenzio che infonde calma e quiete. È qui, in questa struttura che la Chiesa si «sporca le mani», come vuole papa Francesco, che promuove e realizza un programma di iniziative sociali e di assistenza legate al mondo del carcere, a quel penitenziario, il supercarcere di Badu ’e Carros, che un tempo era lontano dalla città, periferia della periferia, e che ora invece fa parte integrante del tessuto urbano nuorese.

«Due i fronti di intervento – spiega il parroco don Pietro Borrotzu –: i detenuti, da un lato; le loro famiglie, dall’altro».

Con una novità in arrivo: tra le mura domestiche a due passi due dalla parrocchia e dal campetto in erba sintetica, presto ci sarà anche uno “spazio neutro”, definizione tecnico-burocratica che sta ad indicare un locale apposito pensato per i bambini, figli e figlie di detenuti magari, innocenti che pagano una colpa ancora prima di diventare uomini o donne, vittime di un sistema penitenziario vecchio e superato come è quello italiano.

Ecco allora che è la Chiesa a correre in aiuto degli ultimi. «Il Centro sociale parrocchiale – aveva spiegato tempo fa don Borrotzu – si colloca all’interno della scelta di una pastorale marginale, ma esso diventerà un punto focale». Spesso determinante per i detenuti che si apprestano a lasciare il carcere nuorese, scontata la pena terrestre. Le stanze ricavate a pochi metri dall’altare di Cristo, sono così destinate ad accompagnare i carcerati nel cammino verso la libertà e alle loro famiglie che hanno bisogno di sostegno.

“Il travaglio della libertà” è non a caso il titolo della seconda tappa di una serie di iniziative organizzate dalla Cooperativa sociale e associazione di volontariato Ut Unum Sint (presieduta dallo stesso don Borrotzu, con il preziosissimo sostegno di suor Annalisa Garofalo) della parrocchia Beata Maria Gabriella. Un percorso che ha già visto protagonisti diversi detenuti di Badu ’e Carros e della Colona penale di Mamone, “Insieme per non dimenticare”, è il titolo della prima tappa, insieme nello stesso cammino grazie a questa struttura, il Centro di aggregazione sociale appunto, che fa da cerniera tra la il carcere e il resto della città, tra il mondo dell’espiazione e il mondo della redenzione.

«La sua vocazione – ieri come oggi valgono le stesse parole usate all’apertura del Centro, nel 2008 – è quella di accogliere le famiglie dei detenuti che vengono per i colloqui nella Casa circondariale e supportare i detenuti stessi, accompagnandoli nell’inserimento socio-lavorativo».

«Non si tratta quindi soltanto di garantire un po’ di solidarietà a chi vive una fase di particolare fragilità – spiega ancora il parroco –, ma piuttosto di creare le condizioni per superare l’esclusione sociale, spesso considerata come causa principale degli sbandamenti e dell’attività delinquenziale. “L’amore invece, e soltanto l’amore è capace di restituire l’uomo a sé stesso”. Il Centro sociale parrocchiale è una nuova idea di parrocchia» sottolinea. Tant’è vero che la struttura di via Biasi «è al servizio della comunità parrocchiale e degli organismi istituzionali presenti nel territorio, con la possibilità di accogliere anche persone di altri Comuni e della Penisola». Da queste parti, davanti alla vecchia strada che da Nuoro arriva a Mamoiada, «si realizzano iniziative di carattere educativo, culturale, aggregante e socializzante che, oltre a promuovere processi di socializzazione intergenerazionale, si pongono come interventi socio-educativi permanenti anche attraverso la stipula di speciali protocolli d’intesa». Insomma: «Il Centro sociale parrocchiale – aveva detto don Borrotzu nel 2008 – è l’inizio di un impegno nuovo, che coinvolgerà tutte le persone di buona volontà, desiderose di impegnarsi nella realizzazione di una società più umana e, per i credenti, più in accordo col messaggio evangelico. L’impegno della parrocchia a favore dell’uomo diventa un intervento non solo missionario e di crescita spirituale, ma si esprime nel farsi compagna di viaggio, rifugio sicuro, luogo di crescita umana, nel rispetto reciproco e sulla strada della solidarietà e dell’impegno civile».

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