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Un’occasione da non perdere bloccata per il metodo

NUORO. Durante il convegno nazionale sulle aree protette di Desulo, nel 1992, la Provincia di Nuoro lanciò lo slogan “Il parco del Gennargentu, un’occasione da non perdere”. Primi “firmatari” il...

25 gennaio 2016
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NUORO. Durante il convegno nazionale sulle aree protette di Desulo, nel 1992, la Provincia di Nuoro lanciò lo slogan “Il parco del Gennargentu, un’occasione da non perdere”. Primi “firmatari” il presidente dell’amministrazione provinciale, Achille Crisponi, l’assessore dell’Ambiente, Attilio Mastino. Ma anche alcuni dei sindaci dei paesi contrari nella storia del progetto, come Salvatore Liori, primo cittadino di Desulo, che parlò «di una stagione storica di contrarietà finita e della necessità di dare alle comunità condizioni di sviluppo certe». Forse l’input a quanto sarebbe arrivato qualche anno più tardi, dopo l’insediamento del comitato paritetico e la zonazione, con oltre 8mila ettari di riserva integrale, 10mila di aree di salvaguardia e oltre 50mila di terreni da destinare alle attività economiche, sempre col rispetto dei principi di tutela. Un dubbio e una condizione per la verità non mancava, legati alla rappresentanza locale nell’ente parco, ritenuta inadeguata.

Ma tra una promessa e un rinvio in proposito, nel 1998 arriva il decreto firmato dal capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro e controfirmato dal ministro Edo Ronchi. Non è certo il parco che si era pensato all’inizio, quello individuato con la legge regionale 31, fatto di 15 comuni e 50mila ettari. L’estensione è cresciuta, perché nel frattempo si sono aggiunti i centri urbani della corona più larga del massiccio barbaricino. Otto dei primordiali paesi (da Orgosolo, a Villagrande, Urzulei e Talana, Arzana e Baunei, e insieme Oliena e Gairo) si sono però tirati indietro, anche se la norma impone il confinamento nella riserva delle terre demaniali. Si pensa che un anno o l’altro aderiranno.

Ma prima che ogni previsioni possa solo essere discussa, arriva la caduta rovinosa dello stesso atto ministeriale, che molti comuni sconfessano perché non preceduto da un passaggio dentro le assemblee civiche.

Il dietro-front diventa una parola d’ordine nell’intero territorio e investe il Consiglio regionale, per un pronunciamento contro il metodo. Più che rispetto alla sostanza dell’iniziativa alla fine in grado di mettere d’accordo anche chi per anni era stato distante dal progetto. La lotta diventa più che altro burocratica, per la cancellazione del provvedimento, con un contenzioso tra enti locali e governo. La Regione viene chiamata a rappresentare il dissenso, anche se essa stessa è stata causa dell’incidente. (f.p.)

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