La Nuova Sardegna

Nuoro

Amanti, sms di insulti e testi controversi: in aula il delitto Dore

di Valeria Gianoglio
Amanti, sms di insulti e testi controversi: in aula il delitto Dore

L’Appello per Francesco Rocca: la Corte ricostruisce i fatti. Dall’ergastolo al marito della donna alle richieste difensive

14 maggio 2016
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NUORO. Un anno e un mese dopo, di nuovo tutti in aula. Mamma Angela Marchi, seduta in fondo alla stanza, sua figlia Graziella vicino, insieme ai fratelli di Dina, Giuseppe e Bruno. E a qualche sedia di distanza anche il papà di Francesco Rocca, Tonino, la sorella Paola, i cognati. E in prima fila, accompagnato dagli agenti della polizia penitenziaria, Francesco Rocca si siede tra i suoi avvocati, Mario Lai e Angelo Manconi,e sistema davanti a sè il suo immancabile quaderno di appunti.

Un anno e un mese dopo la sentenza di primo grado che aveva condannato il dentista gavoese Francesco Rocca alla pena dell’ergastolo per aver commissionato l’omicidio della moglie Dina Dore, con le aggravanti della premeditazione e del “rapporto di coniugio”, alle 9.30 di ieri mattina il processo di secondo grado riparte dalla corposa relazione introduttiva della vicenda che per quattro ore, se si esclude due brevi interruzioni, tiene inchiodate tutte le parti nell’aula giudiziaria: il procuratore generale Gabriella Pintus, gli avvocati di parte civile, Mariano e Massimo Delogu, e Giovanni Gungui, l’avvocato che tutela la piccola Elisabetta Rocca, figlia di Francesco e di Dina Dore, che in questa vicenda è parte lesa ma non si è costituita parte civile, gli avvocati della difesa, Mario Lai e Angelo Manconi.

«Oggi leggeremo la relazione introduttiva» annuncia all’inizio dell’udienza il presidente Mariano Brianda. E da lì si comincia con la lettura di 70 pagine così dense di eventi, svolte, richiami alle intercettazioni, e deposizioni di testimoni, che sembrano uscite da un film dove nessuno dei sentimenti umani è escluso, dove l’amore sembra trasformarsi in odio, dove la verità si mischia con le bugie, dove gli amici si scoprono nemici.

Nella prima parte, la relazione introduttiva, è dedicata a ripercorrere le fasi dell’omicidio, avvenuto intorno alle 18.30 del 26 marzo 2008, nel garage di casa Rocca-Dore in via Sant’Antioco. Si parte dal momento nel quale, con sgomento e terrore, le due vicine di casa dei Rocca vedono il garage aperto e scoprono gli schizzi di sangue dentro il garage, la borsa a tracolla di Dina buttata a terra, la piccola Elisabetta nel suo “ovetto” poggiata vicino all’auto della mamma.

E da lì, la relazione introduttiva della corte d’assise d’appello, si addentra nel racconto dell’orrore e delle fasi successive: la scoperta del cadavere di Dina Dore nel portabagagli, “in posizione fetale e con il capo completamente nastrato”, le prime indagini dell squadra mobile di Nuoro che si concentrano sull’ipotesi sequestro e su una pista ogliastrina dove a un certo punto era spuntato fuori persino il nome del latitante Attilio Cubeddu, così come la strada di un terreno conteso. Tutti depistaggi, secondo l’accusa, che Francesco Rocca suggeriva in qualche modo per allontanare da sè i sospetti.

Poi, sempre la relazione introduttiva letta dalla corte d’assise d’appello, ripercorre anche la svolta delle indagini, nell’autunno del 2012 con la lettera anonima arrivata a casa di Graziella Dore che accusava alcuni giovani del paese e Rocca, gli interrogatori di novembre, le rivelazioni del superteste Stefano Lai. «La corte d’assise di Nuoro lo ha giudicato attendibile», ha ricordato la relazione dei giudici di appello.

Nella seconda parte, invece, la relazione si concentra sul ricorso presentato dai difensori di Rocca, Lai e Manconi, che in settanta pagine presentate in appello gettano diversi sospetti proprio su Stefano Lai e sulle accuse che aveva lanciato nei confronti di Rocca e Contu, e nel loro ricorso chiedono anche che i giudici di secondo grado chiamino Lai a deporre in aula e dispongano l’ammissione della consulenza sul Dna dell’esperto Emiliano Giardina. La corte deciderà nel mese di luglio.

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