“Cuaste?” Quando il latino è una lingua viva
di Giusy Ferreli
Il dizionario villagrandese di Ernesto Nieddu, professore in pensione: 27mila vocaboli d’uso comune
29 gennaio 2018
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VILLAGRANDE STRISAILI. Dagli studi umanistici e dal suo maestro, il padre dell’archeologia sarda Giovanni Lilliu, ha preso il metodo rigoroso e una curiosità inestinguibile, dal suo territorio a forte vocazione agropastorale una miniera inesauribile di informazioni lessicali. Vocaboli che ha trasferito in un corposo vocabolario. Ernesto Nieddu professore di Latino e preside in pensione di Villagrande Strisaili a 77 anni continua le ricerche volta e perfezionare l’opera.
Una prima edizione, con oltre 22 mila vocaboli è stata pubblicata nel 2010 ed ora, a più di 7 anni di distanza altri 5000 lemmi attendono di fare la loro comparsa in una edizione aggiornata del dizionario. Una ricerca iniziata nel lontano 1998, quando, su suggerimento di quello che diventò prima assessore comunale all’Identità e poi sindaco Gabriele Angelo Basoccu, iniziò a raccogliere i primi vocaboli, partendo dai campi semantici. Lui che da bambino venne bocciato ripetutamente alle elementari e cambiò l’atteggiamento nei confronti della scuola solo grazie al fortunato incontro con una maestrina orunese, ha fatto della ricerca una passione. Studi ginnasiali all’istituto salesiano di Lanusei, liceo a Cagliari sempre dai sacerdoti di don Bosco e laurea in lettere classiche all’Università del capoluogo conseguita con una tesi sul sito archeologico di Praidas, un singolare villaggio nuragico abbarbicato su un costone di porfido rosso, Ernesto Nieddu negli ultimi anni si è dedicato anima e corpo alla parlata villagrandese. Anni di ricerche sul campo, in un costante confronto con le sue fonti (gli anziani del paese) e poi sette anni fa la pubblicazione l’opera dalla casa editrice Domus de janas, titolo del dizionario “Cuaste?”. Termine ancora in uso nel paese ogliastrino che secondo la ricostruzione diprofessor Nieddu deriva dal pronome interrogativo cuias- cuiatis (est) e che si può tradurre con un lapidario «di quale paese è ?». Un titolo esemplificativo della forte influenza che il latino ha sulla variante villagrandese della lingua sarda. La stessa influenza deriva dal mondo delle campagne. E riserva più di una sorpresa proprio per la straordinaria ricchezza semantica. «Solo per definire il mantello delle capre, in sardo bentinu, esistono una cinquantina di termini diversi» spiega. Si va dai colori, due esempi su tutti “murru” e “cerbinu” (il primo indica il grigio, il secondo una tonalità tra il nero e il rossastro) alle diverse pezzature. E che dire poi di una pratica antichissima, che i caprari seguivano per riconoscere le loro bestiole, come quella di tagliare le orecchie? «Anche in questo caso – spiega Ernesto Nieddu – a Villagrande abbiamo innumerevoli termini per indicare diversi tagli delle orecchie». Il dizionario è corredato da un dvd. Nel campo di ricerca di Nieddu sono entrati anche i mestieri, la casa e gli avvenimenti più importanti della vita: matrimonio, nascita e morte. Ma anche lemmi più moderni che hanno preso ufficialmente posto nella parlata degli abitanti del paese ogliastrino. Anche se le informazioni sui vocaboli non ancora inseriti nel dizionario sono fioccati dagli abitanti più anziani. Principale fonte sua madre Angelica Scudu che nelle 104 primavere trascorse in questa terra ha parlato correntemente il villagrandese. È stata lei la prima ispiratrice di un vocabolario che racconta il patrimonio linguistico di un mondo destinato (forse) a scomparire ma che mantiene intatto un fascino ancestrale. E che può essere tramandato anche alle nuove generazioni grazie alle ricerche del professor Nieddu.
Una prima edizione, con oltre 22 mila vocaboli è stata pubblicata nel 2010 ed ora, a più di 7 anni di distanza altri 5000 lemmi attendono di fare la loro comparsa in una edizione aggiornata del dizionario. Una ricerca iniziata nel lontano 1998, quando, su suggerimento di quello che diventò prima assessore comunale all’Identità e poi sindaco Gabriele Angelo Basoccu, iniziò a raccogliere i primi vocaboli, partendo dai campi semantici. Lui che da bambino venne bocciato ripetutamente alle elementari e cambiò l’atteggiamento nei confronti della scuola solo grazie al fortunato incontro con una maestrina orunese, ha fatto della ricerca una passione. Studi ginnasiali all’istituto salesiano di Lanusei, liceo a Cagliari sempre dai sacerdoti di don Bosco e laurea in lettere classiche all’Università del capoluogo conseguita con una tesi sul sito archeologico di Praidas, un singolare villaggio nuragico abbarbicato su un costone di porfido rosso, Ernesto Nieddu negli ultimi anni si è dedicato anima e corpo alla parlata villagrandese. Anni di ricerche sul campo, in un costante confronto con le sue fonti (gli anziani del paese) e poi sette anni fa la pubblicazione l’opera dalla casa editrice Domus de janas, titolo del dizionario “Cuaste?”. Termine ancora in uso nel paese ogliastrino che secondo la ricostruzione diprofessor Nieddu deriva dal pronome interrogativo cuias- cuiatis (est) e che si può tradurre con un lapidario «di quale paese è ?». Un titolo esemplificativo della forte influenza che il latino ha sulla variante villagrandese della lingua sarda. La stessa influenza deriva dal mondo delle campagne. E riserva più di una sorpresa proprio per la straordinaria ricchezza semantica. «Solo per definire il mantello delle capre, in sardo bentinu, esistono una cinquantina di termini diversi» spiega. Si va dai colori, due esempi su tutti “murru” e “cerbinu” (il primo indica il grigio, il secondo una tonalità tra il nero e il rossastro) alle diverse pezzature. E che dire poi di una pratica antichissima, che i caprari seguivano per riconoscere le loro bestiole, come quella di tagliare le orecchie? «Anche in questo caso – spiega Ernesto Nieddu – a Villagrande abbiamo innumerevoli termini per indicare diversi tagli delle orecchie». Il dizionario è corredato da un dvd. Nel campo di ricerca di Nieddu sono entrati anche i mestieri, la casa e gli avvenimenti più importanti della vita: matrimonio, nascita e morte. Ma anche lemmi più moderni che hanno preso ufficialmente posto nella parlata degli abitanti del paese ogliastrino. Anche se le informazioni sui vocaboli non ancora inseriti nel dizionario sono fioccati dagli abitanti più anziani. Principale fonte sua madre Angelica Scudu che nelle 104 primavere trascorse in questa terra ha parlato correntemente il villagrandese. È stata lei la prima ispiratrice di un vocabolario che racconta il patrimonio linguistico di un mondo destinato (forse) a scomparire ma che mantiene intatto un fascino ancestrale. E che può essere tramandato anche alle nuove generazioni grazie alle ricerche del professor Nieddu.