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Nuoro

Macomer, non è un terrorista ma deve lasciare il Paese

Simonetta Selloni
Macomer, non è un terrorista ma deve lasciare il Paese

Scarcerato il palestinese accusato di progettare un attentato all'acquedotto. Il 39enne dovrebbe essere libero ma su di lui pende un decreto di espulsione

24 febbraio 2020
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MACOMER. Sono caduti i "gravi indizi" che avevano tenuto fino a due giorni fa in carcere Amin Ahmad Alhaj, 39 anni, profugo palestinese di origine saudita, arrestato a Macomer il 28 novembre 2018 perché accusato di terrorismo e in particolare di far parte dell'Isis, attualmente a processo in Corte d'assise a Cagliari. Ma nonostante la stessa Corte ne abbia disposto la scarcerazione, Alhaj, difeso dall'avvocata Aluise Barria, non è libero.

Come in un gioco del Monopoli impazzito, il palestinese, dal carcere di Bancali è stato fatto uscire, ma con un provvedimento di detenzione amministrativa è stato trattenuto per due giorni nella questura di Sassari. Il tempo perché in prefettura venisse emesso il decreto di espulsione, nel quale Al Haj viene ritenuto pericoloso. Pericoloso ma anche "illegalmente presente sul territorio nazionale". Alhaj, arrivato in Italia, a Macomer, con il ricongiungimento familiare, avrebbe dovuto presentare la domanda per rinnovare il permesso di soggiorno. Non l'ha potuto fare, perché era in carcere.

Al decreto di espulsione, che deve essere convalidato dal Giudice di pace, è seguito ieri un trasferimento al Cpr di Roma, con il volo delle 13 da Alghero. E se già l'espulsione sembra un'aberrazione sistemica rispetto alla pronuncia della Corte d'assise, che non ritiene sia nemmeno necessario sottoporlo alla minima misura cautelare fosse anche un obbligo di firma, Amin Alhaj sarebbe potuto essere trasferito nel Cpr di Macomer dove risiede la famiglia. Alhaj è a processo perché ritenuto parte dell'associazione terroristica Daesh, ma secondo le accuse iniziali avrebbe avuto in animo di provocare una strage, avvelenando con aflatossina B1 e metomil un non meglio precisato serbatoio idrico, a Macomer. Questo riteneva la Direzione distrettuale antimafia e antiterrorismo, e il 23 novembre 2018 aveva ottenuto, attraverso i pubblici ministeri Danilo Tronci e Guido Pani, l'emissione di un ordine di arresto dal Gip de Cagliari. Il 28 novembre 2018 Alhaj era stato arrestato con un blitz spettacolare in pieno centro di Macomer - dove l'uomo vive dal 2012 con moglie e quattro bimbi minorenni - compiuto dagli agenti dei Nocs, corpo speciale della Polizia di Stato. Ne era seguita una conferenza stampa del procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho, per il quale si trattava di un arresto "di grande importanza".

Nel frattempo però l'accusa è stata fortemente ridimensionata. Cosa è successo perché la Corte d'assise andasse oltre la richieste dei pubblici ministeri della Dda, Pani e Tronci, che qualche settimana fa hanno chiesto la "sostituzione" della misura detentiva? Contro Alhaj c'erano le accuse mosse dal cugino Mohammad Alhaj, che nel settembre 2018 era stato arrestato dalle autorità libanesi perché sospettato di far parte dell'Isis. Avrebbe progettato di avvelenare l'acqua di una caserma, nel paese mediorientale, sciogliendo dosi letali di ricina all'interno di una cisterna. Mohammad aveva fatto il nome di Amin Ahmad, indicandolo quale supporto principale della sua attività.

Le autorità libanesi avevano informato quelle italiane e da lì era iniziata l'indagine della Direzione distrettuale antimafia, culminata con l'arresto a Macomer. Ma al di là di questa chiamata in causa, il quadro indiziario era sembrato piuttosto scarno. Delle sostanze con le quali avrebbe dovuto mettere in atto i piani, ad esempio, non è mai stata trovata traccia. Il 28 gennaio scorso, a Beirut, il cugino Mohammad, interrogato alla presenza dei due pm Tronci e Pani, ha ritrattato le accuse "poste a fondamento del generale quadro indiziario", scrive la Corte d'assise nell'ordinanza di revoca della carcerazione. Questo cambio di passo di Mohammad Alhaj, «incide sul complessivo quadro indiziario attenuandolo e determinando il venir meno della gravità degli indizi richiesta per l'applicazione di ogni misura cautelare».

Alhaj non è mai mancato ad una udienza. Per la Corte d'assise non deve restare in carcere. Per la prefettura, è irregolare e pericoloso e va mandato al Cpr. Una contraddizione in termini. L'avvocata Barria inoltrerà comunicazioni formali all'ambasciata palestinese.

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