La Nuova Sardegna

Nuoro

Bosa, le maschere in nero regine del Carrasegare

di Alessandro Farina
Bosa, le maschere in nero regine del Carrasegare

Grandissima affluenza di folla al tradizionale appuntamento con S’attitidu All’imbrunire i colori scuri hanno lasciato il campo al bianco candido di Giolzi

26 febbraio 2020
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BOSA. L’annunciata tempesta di Maestrale è all’orizzonte, quella virale oltre Tirreno, ma la città del Temo perpetua il suo storico Martis de carrasegare, come da storico copione, con lo sberleffo alla morte e il suo peculiare inno alla vita. Lo fa nei riti in nero di S’Attitidu al mattino e in bianco di Giolzi alla sera, ultimo corale appuntamento del satirico Carrasegare ‘Osincu.

Il sole di una giornata dal clima più che primaverile è già alto quando le urla delle “prefiche” chiedono “unu tichirigheddu de latte” (un goccio di latte), per l’infante abbandonato dalla madre persa nei bagordi. Una distesa di maschere in nero racconta, ciascuna a modo suo, radicata nel tempo ma sempre attuale, la realtà che la circonda. Si veste da prefica la maschera di Bosa, nel giorno dove la franchigia del carnevale permette di ironizzare su tutto e tutti. Mentre narra del bimbo, un bambolotto smembrato, moribondo o morto di stenti, racconta le gesta di estremo divertimento della madre, il canovaccio. Con argomenti satirici da sciorinare in limba, che vanno dal sociale alla politica, dal gossip alle vicende amministrative, anche ai fattarelli “personali” veri o presunti dell’interlocutore o del soggetto preso di mira. Non senza, il richiamo ancestrale al perpetuarsi della vita, più o meno allusive questioni di caratura sessuale. Sempre lo stesso e sempre diverso, irriverente, forse ai non bosani incomprensibile, S’Attitidu sfuma lentamente solo a pomeriggio inoltrato per lasciare porto ad un'altra maschera. Dall’imbrunire Bosa infatti vive ancora altre ore di allegria, sempre aperte a piccoli a grandi, senza distinzione di classi sociali. In bianco, una federa trasformata in cappuccio ed un lenzuolo per mantello la divisa base, nelle corse e nelle pantomime rivive la ricerca di Giolzi Moro. Luci, lanterne, moderne torce elettriche puntano all’altezza del bacino gli altri Giolzi o gli spettatori, piangono per il carnevale morente, illuminano la notte delle poche ore ancora di divertimento concesso.

Con un giocoso plauso alla vita, nelle danze al suono di “ciappadu ciappadu”. Si balla e si vive per l’intera notte, fino all’alba nelle sale da ballo, gli ultimi intensi minuti di festa nella città fluviale. Che da oggi attende fiduciosa, per l’intero anno da qui in poi, di rivivere l’intensa giornata di libertà e inno alla vita di S'Attitidu e Giolzi. Uno degli appuntamenti più sentiti dai bosani.

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