Orune, omicidio Carai: il pm chiede due ergastoli
Secondo l’accusa a uccidere a coltellate l’allevatore 72enne erano stati i due fratelli gemelli Giuseppe e Maoro Contena
Nuoro «I gemelli Contena sono entrambi colpevoli. Questo processo è arrivato sino a qui soltanto per una ragione: perché la pena che il codice assegna per questo delitto, aggravato dalla crudeltà, è l’ergastolo». Il pm Riccardo Belfiori alla fine di una requisitoria lunga quattro ore ha chiesto “il fine pena mai” per Maoro e Giuseppe Contena, i due fratelli orunesi accusati di aver ucciso con 34 coltellate l’allevatore 72enne, Mauro Antonio Carai, loro compaesano, in una sera di fine estate di tre anni fa. «Credo non ci sia una sola persona che possa dubitare del fatto che i gemelli Contena sono i responsabili dell’omicidio Carai. Lo credo per una ragione – ha detto il pm rivolgendosi alla Corte d’Assise presieduta da Elena Meloni (a latere Alessandra Ponti) –: dal lontano 1° settembre 2021 ad oggi è stata raccolta una mole di prove schiaccianti a loro carico che non fa arrivare a conclusioni diverse. Le ipotesi alternative confuse e nebulose avanzate dalle difese, e tutti i dubbi che si è cercato di insinuare sulla regolarità dell’attività di indagini si sono frantumati davanti alla consistenza del castello probatorio. La sequenza degli eventi rappresenta la peculiarità di questo processo, e la condotta delle persone che fanno parte della cerchia familiare dei due imputati, fa emergere che solo loro possono essere gli autori del delitto. Perché – ha chiesto Belfiori rivolgendosi alla Corte – avete mai sentito di due innocenti che si rendono irreperibili? Oppure di un fratello che conserva i loro cellulari, e di un altro che parlando dice: “Il danno lo hanno fatto e lo devono pagare”. Avete mai sentito di due innocenti che simulano la voce della vittima che li supplica di non sgozzarlo? O di innocenti nella cui auto vengono trovate tracce del delitto che cercano di cancellare con la varechina. È ancora – ha incalzato la pubblica accusa – avete sentito di innocenti sulle cui auto viene trovato il Dna della vittima? Non uno ma entrambi i fratelli sono responsabili di questo omicidio». Gli imputati hanno seguito la discussione seduti vicino ai loro avvocati Luigi Esposito, Stefano Zoccano e Nicola Caricaterra, mentre i familiari della vittima che si sono costituiti parte civile con gli avvocati Lorenzo Soro e Pasquale Ramazzotti, sono rimasti in fondo all’aula. Poi con una ricostruzione minuziosa e dettagliata dell’impianto accusatorio, il pm ha ripercorso l’istruttoria dibattimentale dal momento in cui il figlio della vittima, Giovanni, la notte del 27 agosto 2021 non vedendolo in casa era andato a cercarlo in campagna, e lo aveva trovato senza vita dentro un canale di scolo, in una strada di penetrazione agraria a pochi chilometri dal paese. «Sul costone – ha detto Belfiori – si estendeva una scia ematica accanto al selciato. Tracce da trascinamento da parte di chi aveva commesso il delitto e aveva la necessità di nascondere il corpo, perché non fosse visibile dalla strada». Poi l’orario della morte che il medico legale Vindice Mingioni aveva collocato tra le 20 e le 21 di quella sera. «Aveva eseguito i rilievi alle 4.45 attraverso la misurazione della temperatura corporea, della rigidità cadaverica e della presenza di ipostasi. Tutte rilevazioni – ha aggiunto il pm – che la notte non erano state fatte dal medico di guardia, chiamato a intervenire intorno a mezzanotte. La dottoressa aveva solo constatato il decesso». Per il pm non ci sono dubbi sull’ora in cui è avvenuto il delitto, né sul fatto che sia stato commesso dai due fratelli. «Alle 19.20 il telefonino di Giuseppe Contena che è in transito, aggancia la cella di Nuoro, mentre quello di Maoro la cella che copre la zona del luogo del delitto. I vicini di pascolo sentiti in aula hanno detto di essere passati in quella strada alle 20.15 e di non aver visto l’auto di Carai che, quindi, a quell’ora lui era ancora vivo. Il limite temporale dell’omicidio parte dalle 20.23, ora in cui Giuseppe e Maoro si sentono e agganciano la stessa cella, e le 20.59 ora in cui il Fiat Doblò dei gemelli viene ripreso dalle telecamere della caserma di Orune». La pubblica accusa è passata poi a ripercorrere l’attività d’indagine svolta dai carabinieri che si concentrò sulle ultime ore di vita di Carai, uomo abitudinario, tutto casa e lavoro. L’utilizzo di un’arma bianca aveva da subito fatto pensare che il delitto fosse maturato a seguito di una lite con chi passava in quel tratto di strada in quel momento. Sentiti i figli e i successivamente i vicini di pascolo aveva fornito un’immagine della vittima come uomo di altri tempi. «Mauro Antonio Carai aveva un carattere molto forte – ha proseguito il pm – non accondiscendente neppure con i familiari più stretti. I confinanti hanno ribadito in aula che non si faceva mettere i piedi sopra da nessuno. Non andava d’accordo con tutti, ma conservava i rapporti di campagna. Con i gemelli Contena c’era indifferenza nonostante il rapporto di parentela. Loro furono gli ultimi ad essere stati sentiti dai carabinieri». Ed ecco l’arrivo degli investigatori nell’ovile di Sa Matta il 1° settembre, dove trovarono solo Giuseppe perché Maoro pochi minuti prima, ve dendoli arrivare, si era reso irreperibile. Poi la perquisizione nella loro abitazione di Orune, alla ricerca di armi, che aveva portato al sequestro di una maglietta sporca di sangue. E ancora le tracce rinvenute nelle vetture in uso a due fratelli, sulla Fiat Panda e sul Doblò dove, oltre ai profili genetici degli imputati (essendo omozigoti potevano essere di uno o di entrambi), era stata rilevata la presenza di profili misti, in cui compariva sia il dna della vittima, sia quello di uno o di entrambi gli imputati. «Tracce che i Contena avevano cercato di cancellare con la varechina – ha aggiunto il pm – e se fosse stata accolta l’inutilizzabilità della prova, come richiesto dalla difesa degli imputati, l’accertamento successivo sarebbe risultato nullo». E se Maoro si era reso irreperibile da subito, Giuseppe lo aveva fatto dal pomeriggio del 4 settembre. Il pm a questo punto ha introdotto il tema delle intercettazioni telefoniche che hanno avuto un ruolo fondamentale nelle indagini. «Era stato sentito in aula il maggiore Cappa che il 7 settembre aveva parlato con Carmelo Contena e gli aveva detto della preoccupazione manifestata dall’altro fratello, Nicolò, per l’irreperibilità dei due gemelli, e per il fatto che questo avrebbe potuto creare difficoltà alla famiglia. Sempre Nicolò – ha aggiunto il pm – aveva fatto intendere che i due fratelli erano coinvolti nell’assassinio dell’allevatore. Coinvolgimento emerso anche da un dialogo tra Carmelo e un’altra persona in cui si dice chiaramente che a commettere il delitto erano stati loro. E sempre dalle intercettazioni – ha continuato Belfiori – è emersa la volontà dei familiari di farli costituire, anche se poi gli accordi erano saltati all’ultimo momento». Ieri la parola anche ai difensori di parte civile che ribadendo le prove consistenti a loro carico e aderendo alle richieste del pm hanno sollecitato la condanna dei due imputati. © RIPRODUZIONE RISERVATA