La Nuova Sardegna

Olbia

Il vescovo: anno orribile per la Gallura

di Mario Girau
Il vescovo: anno orribile per la Gallura

Monsignor Sebastiano Sanguinetti, capo della diocesi di Tempio, parla del territorio colpito da due grandi tragedie

22 maggio 2014
5 MINUTI DI LETTURA





OLBIA. Orrore, sconcerto, dolore e indignazione monsignor Sebastiano Sanguinetti se li è portati fino a Roma. Per tutto un giorno, mentre si preparava ad ascoltare l'intervento del Papa all'assemblea generale dell'episcopato sardo, ci ha rimuginato sopra, in continuo contatto con la Curia e con i suoi principali collaboratori che lo aggiornavano in tempo reale sullo sviluppo delle indagini, ma soprattutto sui contraccolpi che il terribile delitto di Tempio ha procurato alla sua Chiesa. Il vescovo coniuga ancora una volta carità e giustizia: «Nessuna ragione e tanto meno alcuna giustificazione possono essere addotte per la soppressione volontaria e violenta di una vita umana». Soprattutto «quando tale azione ha il carattere dell'efferatezza e per di più nei confronti di un padre, di una madre e di un innocente figlio, distruggendo in un attimo una intera famiglia, ogni parola o commento sono del tutto superflui: siamo alla crudeltà fine a se stessa e all’ assenza totale di un minimo di umanità e di una pur labile coscienza morale». L'unica strada per i colpevoli è quella del «ravvedimento e dell'idonea espiazione davanti alla giustizia umana».

La tragedia ha in parte oscurato l'altro grande dramma, l'alluvione, con cui da 6 mesi fa i conti la popolazione gallurese. L'alluvione ha lasciato segni profondi sulle persone e sulle cose.

«Vi sono le ferite visibili e sempre aperte: i 13 morti, le 1500 famiglie sfollate, solo alcune delle quali cominciano ora a tornare a casa, i danni agli esercizi commerciali e produttivi e alle infrastrutture. E vi sono quelle dell'anima, gli incubi di quelle terribili ore e le paure per un ritorno alla normalità ancora lontano».

Il dramma dell'alluvione ha generato solidarietà. E' stata l'emozione di un momento?

«La solidarietà, quella organizzata e quella spontanea, è stata sicuramente l'energia che ha sostenuto il territorio nel momento dell'emergenza. Tanti fanno ancora sentire il calore della prossimità e del reciproco sostegno. A non essere mai arrivati sono i fondi promessi da Stato e Regione».

Chiesa e alluvione: come si lavora oggi?

«Il centro di coordinamento e di ascolto diocesano opera a pieno ritmo nella casa vescovile di Olbia, in stretta collaborazione con i gruppi di volontariato delle parrocchie. Rimane operativo un magazzino per la distribuzione di beni di prima necessità, insieme allo sportello psicologico e a quello del micro-credito e del prestito della speranza».

Quale lezione dall’ alluvione?

«Ha messo a nudo sia le fragilità strutturali di una città cresciuta molto in fretta e non sempre in modo ordinato, sia la crisi dei settori portanti dell’economia: turismo, trasporti, edilizia. I danni dell'alluvione si sommano alla difffusa disoccupazione e alle precarie condizioni economiche di tante famiglie, che vivono in autentico stato di povertà. Sicuramente c'è da ripensare il modello di sviluppo per il futuro sul piano urbanistico e della tutela ambientale».

I giovani. Che cosa la preoccupa maggiormente per il futuro dei giovani?

«L'emergenza giovani di questa zona non si discosta da quella più generale dell'Isola e dell'Italia. Ma non è una generazione persa: è portatrice di istanze importanti, che vanno riconosciute e valorizzate».

La sua è la terza diocesi della Sardegna per numero di abitanti. Ma dispone solamente di un'ottantina di sacerdoti, con elevata età media. E' emergenza pastorale?

«In questo momento abbiamo 82 sacerdoti. La singolarità del territorio è la esponenziale crescita demografica con conseguente profonda modificazione delle caratteristiche antropologiche e culturali degli ultimi decenni, non accompagnata purtroppo da un equivalente aumento delle vocazioni al sacerdozio. In questi ultimi anni abbiamo cercato di distribuire meglio le forze in campo, incrementandone la presenza nelle zone più popolate, senza sguarnire le altre».

Lei interviene con sacerdoti extracomunitari o polacchi. Come vengono accolti dalla popolazione, si integrano nel presbiterio gallurese?

«Certamente ci danno un grosso aiuto 8 religiosi, suddivisi in 4 comunità, e 13 stranieri, di cui 6 provenienti dai paesi dell'Est. Quattro di questi ultimi sono incardinati nel clero diocesano, gli altri collaborano a tempo determinato. In genere, gli stranieri vengono accolti e sono sufficientemente integrati, anche se, soprattutto in alcuni casi, si sente la differenza di cultura».

Problema vocazioni: solo cinque giovani nel seminario regionale. Perché il sacerdozio ha così poco appeal in Gallura?

«Non dimentichiamo che nell'ultimo anno abbiamo avuto 4 ordinazioni sacerdotali e ai 5 giovani del Seminario teologico vanno aggiunti i 5 del periodo propedeutico presso quello diocesano. Sì, le vocazioni arrivano a rilento, ma c'è più perseveranza, per almeno due ragioni: la maggiore età d'ingresso in seminario e un più accurato vaglio prima dell'accettazione. Circa le cause della diminuzione vanno fatte almeno due sottolineature: il verticale calo di natalità con il bassissimo numero di figli per nucleo familiare, e la sempre minore attitudine a scelte radicali, impegnative e definitive, come quella del sacerdozio».

Perché il Concilio plenario sardo è rimasto un bel volume di atti da conservare in biblioteca. Nulla si può recuperare di quanto scritto?

«Forse è mancato un coinvolgimento più corale del popolo di Dio nella fase preparatoria e celebrativa. Sicuramente si è fatto poco nella fase attuativa. Ma c'è sempre tempo per recuperare, gli atti sono di sicuro pregio e qualità».

La Messa in lingua sarda. Mons. Becciu vi invita a presentare i libri liturgici alla Santa Sede per la necessaria autorizzazione. Perché non si fa?

«È un tema che mi appassiona, ma credo che vada affrontato con intelligenza e gradualità. Oltre a iniziative personali sul versante della traduzione di parte dei libri della sacra Scrittura, qualcosa di ufficiale si era iniziato a fare al riguardo. Occorre ripartire da lì per continuare l'iter, che deve affrontare, fra l'altro, anche le obiettive difficoltà di reperire le competenze scientifiche e teologiche necessarie e la questione non ancora risolta delle varianti della lingua sarda. Su mandato della Conferenza episcopale il sottoscritto e monsignor Giovanni Dettori, lavoreremo su questo».

La diocesi di Ozieri, di cui lei è amministratore apostolico, si salverà o verrà accorpata a quella di Tempio?

«Posso solo dire che al momento non ho alcuna notizia circa la soppressione o accorpamento della Diocesi di Ozieri».

In Primo Piano
Sanità

Ospedali, Nuoro è al collasso e da Cagliari arriva lo stop ai pazienti

di Kety Sanna
Le nostre iniziative