La Nuova Sardegna

Olbia

La tragedia del 1989, i ricordi dei parenti

di Dario Budroni
La tragedia del 1989, i ricordi dei parenti

Venticinque anni fa l’incendio che fece tredici vittime, ieri la commemorazione. I sopravvissuti: «Un dolore incancellabile»

29 agosto 2014
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SAN PANTALEO. Un elicottero vola basso, sulle teste chinate davanti al cippo di granito, e lascia cadere una pioggia di petali rossi e bianchi. Sullo spiazzo adesso abbracciato dalla macchia mediterranea, dove 25 anni fa si moriva tra le fiamme o soffocati dalle colonne di fumo, il ricordo della tragedia diventa sempre più intenso e commovente. Ieri sera, davanti alla lapide in memoria delle tredici vittime dell’incendio di Milmeggiu, si è consumata una cerimonia sobria, silenziosa, a tratti struggente, davanti a numerose autorità.

Ma la commemorazione è stato un momento intenso soprattutto per chi, quel 28 agosto 1989, ha perso moglie, figli, nipoti, amici. Attorno al cippo di Milmeggiu c’era per esempio Umberto D’Amato, che nel terribile rogo perse il figlio Giuseppe, di 2 anni, e la moglie Maria Annunziata Sessa, di 30, che aspettava anche un bambino. «Torno ogni 28 agosto a Milmeggiu. Per me è una cicatrice terribile e che non scomparirà mai – racconta Umberto D’Amato -. Quel giorno io non mi trovavo in Sardegna, c’erano solo mia moglie e mio figlio insieme ad amici e parenti. Erano qui in vacanza e io avrei dovuto raggiungerli qualche giorno dopo. Invece niente, l’incendio li ha portati via».

Commosso anche il ricordo del nonno del bimbo, Giuseppe, che portava proprio il suo nome. «Non potevamo mancare, qui è morto nostro nipote insieme alla mamma e ad altre undici persone» racconta con occhi lucidi e sguardo triste. Anche sua figlia Rosy, zia del piccolo, quel giorno si trovava in Sardegna. Ed è tornata a Milmeggiu solo ieri, 25 anni dopo l’inferno. «Sono riuscita a salvarmi perché sono rimasta in casa, fuori bruciava tutto ma per fortuna le fiamme non sono entrate dentro – racconta Rosy D’Amato -. Invece mio nipote e la mamma no, non ce l’hanno fatta. Sono morti dentro una macchina».

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