La Nuova Sardegna

Olbia

Castello di Sa Paulazza, l’ultimo baluardo dell’Olbia bizantina

di Dario Budroni
Castello di Sa Paulazza, l’ultimo baluardo dell’Olbia bizantina

Le rovine su un’altura con vista dal Limbara a Tavolara. Ancora in piedi i resti delle mura, le torri e due porte

06 novembre 2017
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OLBIA. Servono un paio di scarpe comode e soprattutto una buona condizione fisica per andare alla scoperta di questo pezzo pregiato di storia olbiese. Perché qui non esistono indicazioni e il sentiero che porta verso la cima della collina si perde tra rocce scivolose, boschi troppo fitti e rovi che intralciano il cammino. Il castello di Sa Paulazza quasi non si vede. Però esiste e resiste. Lo avevano costruito poco meno di 1500 anni fa, su quello che oggi è chiamato Mont’a Telti, quando l’impero romano d’Oriente aveva deciso di riconquistare i territori occidentali invasi dai barbari, Sardegna compresa. Una volta abbandonato, il castello è stato man mano inghiottito dalla vegetazione. Dalla stradina di campagna che ci passa sotto si intravede una torre appena.

L’impero è tornato. Il castello, conosciuto con i nomi di Sa Paulazza e Mont’a Telti, si trova nella periferia urbana, tra Pasana e Putzolu, su un colle di 234 metri che domina la piana e la bocca del golfo interno, con vista dal Limbara a Tavolara. Un punto strategico, insomma. Siamo agli albori della Sardegna bizantina, cioè l’età cominciata con la conquista da parte dell’imperatore Giustiniano, che nel 534 strappò l’isola ai Vandali che avevano distrutto l’Olbia romana e il suo porto, quasi un secolo prima. «È stato costruito negli anni successivi alla riconquista della Sardegna - spiega l’archeologo Agostino Amucano -. Del periodo sappiamo davvero poco, ma il castello rivela molte cose interessanti».

Perché un castello. Amucano, che conosce bene Sa Paulazza, spiega il perché di una costruzione di questo tipo. «Si sa molto poco dell’Olbia di allora. Anche il nome di Phausiana, per esempio, nelle fonti è comparso qualche decennio più tardi - continua lo studioso -. Quel che è certo, però, è che c’era qualcosa da difendere, altrimenti la costruzione del castello non avrebbe senso». La struttura, dunque, aveva lo scopo di difendere la piana e l’antica città. Ma da chi? «In particolare dalle popolazioni dell’interno, dagli eredi dei Balari e dei Corsi - dice Amucano -. Erano popoli che praticavano razzie, che rubavano per esempio il grano. E il castello, che non a caso si trovava sulla via d’ingresso alla città, serviva per difendersi».

La struttura. Il castello ha la forma di un quadrilatero e occupa un’area di un ettaro e mezzo. Grandi mura merlate, ancora in piedi e ben conservate, circondano l’estremità del colle. Negli angoli ci sono le torri. Poi le due porte: una accessibile, l’altra interrata. Nella zona interna ci sono tracce di costruzioni. «Era abitato da pochi soldati, non di professione - spiega l’archeologo -. Semplicemente persone che in cambio di un pezzo di terra erano chiamate a difendere la zona».

Rapido abbandono. Il castello venne abbandonato presto. «Parliamo di decenni - dice Amucano -. Probabilmente è stato abbandonato quando non c’era più bisogno di difendersi da qualcuno». Qui si cammina nel campo minato delle ipotesi. Si sa per esempio che le zone interne dell’isola, tra il sesto e il settimo secolo dopo Cristo, vennero pacificate dall’impero d’Oriente anche con la conversione al cristianesimo di quelle popolazioni, ancora pagane, che da sempre avevano dato filo da torcere agli invasori di turno, romani compresi.

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