La Nuova Sardegna

Olbia

L’intervista

Il satanismo, la droga, 19 anni di carcere per omicidio e ora una seconda vita: «L’arresto a 24 anni la mia fortuna»

di Dario Budroni
Il satanismo, la droga, 19 anni di carcere per omicidio e ora una seconda vita: «L’arresto a 24 anni la mia fortuna»

Mario Maccione, ex bestia di Satana, oggi vive a Olbia, lavora e si dedica al volontariato

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Olbia Nessuna foto di spalle, neanche gli occhiali da sole per nascondere emozioni e lineamenti. Mario Maccione non fugge più dal suo passato. Ne parla, lo elabora, lo condanna. Sa bene che continuerà a trascinarsi dietro il marchio più oscuro di tutti: quello della setta, del demonio, degli omicidi, della droga, dei cadaveri sepolti nel bosco. Ma sa anche che dall’inferno ne è venuto fuori e che lui, in quel ragazzo perso nel disordine tossico e mentale, di certo non si riconosce più.

Bestie di Satana

Mario Maccione, 45 anni, è stato uno delle Bestie di Satana. È uno dei volti e dei nomi di quel gruppo di giovani che in Lombardia, dal 1997 al 2004, ha ucciso, indotto al suicidio e terrorizzato anche chi immaginava soltanto di allontanarsi, di finirla con certe dinamiche. Mario Maccione si sente oggi una persona diversa e ciò che gli importa di più è aiutare gli altri a superare le fasi più buie e difficili della vita. «Non sono certo uno psicologo, ma è importante parlarne», dice.

Ha fatto il carcere: condannato a 19 anni (perché all’epoca dei fatti era minorenne) per il concorso nell’omicidio di Fabio Tollis e Chiara Marino – anche loro membri del gruppo –, tra indulto e buona condotta ne ha scontati 13 e mezzo. Nel 2017 si è lasciato alle spalle i cancelli del carcere di Bollate e poco dopo si è trasferito in Sardegna. «Sono finito qua per amore, poi non me ne sono più andato», confessa. L’isola l’ha girata praticamente tutta e da un annetto vive a Olbia. Lavora nel mondo del digitale e si dedica alla sua più grande passione: la musica.

Il volontariato

Ma un capitolo importante della sua nuova vita è rappresentato dal volontariato. Mette così a disposizione parte del suo tempo per dare una mano all’associazione Libere energie, fondata 15 anni fa da Ginetto Mattana con l’obiettivo di aiutare i senzatetto e chiunque abbia bisogno di un pasto caldo o di una parola di conforto.

Mario Maccione, lei ha fatto parte delle Bestie di Satana, inventandone anche il nome. Come è stato possibile che tutto ciò accadesse?

«Ho riflettuto molto negli anni. E mi vengono in mente le dinamiche delle bande, delle gang, nelle quali si forma una sorta di fratellanza che diventa morbosa a causa delle droghe e degli interessi. Nel nostro caso, gli interessi erano le sedute spiritiche. Si è sempre detto che fossimo una setta satanica, ma in realtà le sentenze non lo dicono. Non facevamo riti satanici, non avevamo una vera cultura sul satanismo. Era più un qualcosa di estetico, di simbolico. Ci univa comunque una ideologia anticristiana, quello sì, ma che non c’entrava nulla con il vero satanismo. Poi, tra amicizie morbose e prove di coraggio, le dinamiche sono presto cambiate e peggiorate. E l’arrivo delle ragazze nel nostro gruppo, infine, ha rotto tutti gli equilibri. Sono cominciate le gelosie e le invidie, poi sfociate nei delitti. Credo che le cause siano più relazionali. Ma sia chiaro: questo non significa che ciò che è accaduto non sia grave».

Ha sempre detto che un ruolo pesante lo ha avuto anche la droga

«Assolutamente sì. Ho cominciato a drogarmi a 14 anni e ho smesso a 24, dopo l’arresto. Mi sono drogato tutti i giorni, non mi sono mai fermato. Ho scoperto chi fossi realmente un anno dopo essere tornato lucido. In quel momento mi sono reso conto di quanto la droga sia in grado di stravolgerti. Questo non giustifica nulla, ma è una realtà. Sono stato fortunato a essere stato arrestato a 24 anni, perché il cervello a quell’età è ancora elastico. Ho avuto modo di riprendermi realmente».

Lei è stato condannato per il concorso nell’omicidio di due ragazzi che facevano parte del vostro gruppo. Cosa ricorda di quella notte?

«Io la dinamica non la ricordo, per motivi psicologici e di droga, e questo continua a generare ancora molta frustrazione. La versione che alla fine è emersa è quella di un’altra persona, ma so che non ha detto tutta la verità».

Quattro le vittime delle Bestie di Satana accertate, ma quelle sospettate sono 18. È vero?

«Il numero 18 non ha fondamenta. Io, dopo il duplice omicidio, mi sono allontanato. Loro hanno continuato. Personalmente credo che ci siano state altre due vittime, ma non 18».

È rimasto in contatto con qualcuno del gruppo?

«No, quando siamo stati arrestati, nel 2004, eravamo nemici già da anni». E quando ha iniziato ad allontanarsi, ha mai avuto paura degli altri? «A dir la verità non avevo più paura di niente: non mi interessava nulla, neanche di morire. Ma sono sincero: alla fine desideravo addirittura la loro morte. Credevo che la mia liberazione sarebbe dipesa da quello. Oggi, naturalmente, vedo tutto con altri occhi».

Ha mai sentito il bisogno di parlare con i familiari delle vittime?

«È successo, ma non posso dire altro perché non ho il loro permesso. Credo che certi percorsi possano far bene, ma purtroppo non è sempre così. Alla fine è stato naturale interrompere tutto. Sono situazioni che creano forti disagi».

Per la sua famiglia, invece, quanto è stato difficile?

«È stato terribile, ho dato loro un trauma enorme. È stato un percorso lungo e faticoso. Alla fine si è risolto, perché ora i rapporti sono buoni, ma c’è stata tantissima sofferenza. Certe volte si crede che l’egoismo riguardi solo se stessi. Invece no, riguarda anche chi ti sta attorno, chi ti vuole bene. Tutte persone che soffrono per colpa tua».

Tredici anni di reclusione. Che ricordo porta del carcere?

«Ho visto cose che non avrei voluto vedere. E come tutti i detenuti – che io preferisco chiamare ospiti – ho subito tutto ciò che viene generato dalla convivenza forzata in spazi stretti e dalla mancanza di servizi, operatori e personale. Nella quasi totalità delle carceri le attività di recupero non funzionano. In generale la situazione è pessima perché si continua a produrre criminalità. Basti pensare che, fino ad alcuni anni fa, le carceri italiane producevano il 70 per cento di recidiva. È una percentuale scandalosa che adesso dovrebbe essere addirittura aumentata. La gente non ci pensa, ma la sicurezza dei liberi cittadini dipende molto anche dal funzionamento delle carceri, da ciò che accade lì dentro, dai percorsi di recupero. La mia fortuna, dopo Busto Arsizio, San Vittore e Monza, è stata quella di arrivare a Bollate. Lì il progetto di recupero funzionava e la recidiva era al 17 per cento. Facevano una cosa molto semplice: applicavano la legge. Eravamo seguiti e ci tenevano impegnati. Con altri ospiti abbiamo addirittura prodotto musica. Tutte esperienze che mi sono servite e che hanno contribuito al mio cambiamento. Per questo ho deciso di metterci la faccia e di parlare anche della situazione nelle carceri italiane. Poi lo so, non è facile, in tanti mi vedranno per sempre come un delinquente. Ma non fa nulla: bisogna parlarne».

Lei è entrato in carcere a 24 anni ed è tornato libero a 37.

«Ho avuto problemi nel farmi accettare. Avrò mandato milioni di curriculum, nessuno ha mai risposto. Il mio era anche un caso mediatico: basta digitare il mio nome su Google per scoprire chi sono stato. Se non hai la fortuna di essere assunto da una cooperativa sociale o di avere una famiglia benestante, devi davvero ricominciare da zero. Così ho fatto io: senza soldi e con il mio passato. Ho iniziato con l’aiutare una persona a gestire la portineria di un centro di accoglienza e nel frattempo ho cominciato a seguire corsi con l’obiettivo di lavorare nel settore digitale. Poi mi sono trasferito in Sardegna. Mi trovo bene, amo stare in mezzo alla natura e fare trekking. E a Olbia ho trovato la mia dimensione, la vita scorre più tranquilla e c’è anche un bel fermento musicale. Sto anche formando una band. Pian piano ho ritrovato la vita vera».

Poi ha deciso di aiutare gli altri.

«Anni fa ho scritto un libro in cui parlo di come sono uscito da certi inferni. Poi ho creato un gruppo di auto aiuto su Telegram: chi soffre di dipendenze, solitudine o bullismo entra in contatto con altre persone che hanno gli stessi problemi. È bello vedere come si supportano da soli. Ma è chiaro: non sono uno psicologo e il 98 per cento di queste persone è già in cura. Il mio è più un lavoro di conforto e di supporto».

E poi c’è il volontariato con l’associazione Libere energie.

«Distribuiamo pasti ai senzatetto o comunque alle famiglie in difficoltà. È una attività che mi fa stare bene. Qui mi rendo conto di fare qualcosa di buono, di essere utile per gli altri».

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