La Nuova Sardegna

Il rogo nell'Oristanese, lezione amara: il fuoco tiene memoria

Anthony Muroni
Un'impressionante immagine di Porto Alabe
Un'impressionante immagine di Porto Alabe

"Noi invece dimentichiamo in quale oasi preziosa viviamo. Nel 1983 e nel 1994 a Santu Lussurgiu ci furono incendi rovinosi, ma la storia si ripete e non ci insegna nulla"

26 luglio 2021
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Cicciolina” era una cavalla anziana, compagna di innumerevoli discese in “Sa Carrela ‘e nanti” di Angelo Onni, uno dei più spericolati decani della sfrenata corsa carnevalesca, inno alla lussurgesità nel mondo. Sabato e domenica, tra i boschi del Montiferru, tra temperature insolitamente africane e vento traditore, erano pessimi giorni per vivere, figurarsi per morire: "Cicciolina" giace carbonizzata tra gli alberi fumanti, simbolo non più pulsante di vitalità, fierezza, bellezza, freschezza, unicità. I termini che utilizziamo di solito per raccontare i boschi e le sorgenti che da Santu Lussurgiu si inoltrano fino a Scano, Cuglieri e Sennariolo, degradando verso le spiagge di Tresnuraghes. "L'acqua tiene memoria", usiamo ripeterci quando dobbiamo commentare qualche tragica alluvione, stigmatizzando l'azione dell'uomo nel cambiamento dei luoghi e di un ecosistema già di suo fisiologicamente imperfetto, al cospetto degli elementi impazziti. Ora sappiamo che anche il fuoco tiene memoria e sa replicare le tragedie.

Nel 1983 e nel 1994 i boschi di Santu Lussurgiu vennero spazzati via da roghi che scaldarono i giorni e le notti: pascoli e ovili distrutti, assieme al cantiere forestale di Pabarile, croce e delizia di un monte selvaggio e ricco di fascino. Il segno fu così profondo, già nella prima occasione, che i bambini delle scuole elementari dedicarono tutto l'anno scolastico successivo, sotto la guida del maestro Porcu, a metabolizzare la tragedia con poesie innocenti, disegni ingenui e struggenti, pensierini dedicati al padre pastore, vignaiolo o forestale.Non esistevano ancora gli infernali hashtag né i social network, ai quali consegnare sfoghi, preghiere, maledizioni, minacce o lamentele. Eppure lo slogan "Il bosco era nostro", motto trasversale che accompagnava quei lavori, ha resistito per 37 anni, tornando attuale - in tutta la sua potenza - in queste ore, fino a diventare Toptrend su Instagram, lanciato dalla piattaforma Sardinia.Media.Il fuoco tiene memoria. E i pastori pure. L'incendio partito venerdì sera nella strada che collega Bonarcado a Santu Lussurgiu aveva messo in allarme i più attenti, che hanno provveduto a spostare il bestiame verso la strada delle vigne, in direzione Paulilatino. Forse se lo sentivano, che non sarebbe finita venerdì. Le temperature in salita, il vento con folate sempre più intense e magari una certa "tensione" che si respirava nell'aria: tutto sembrava complottare per una escalation incontrollabile. E infatti nella tarda mattinata di sabato la situazione è sfuggita di mano: gli appelli del servizio di protezione civile, il sindaco che lancia grida di dolore su Facebook (dapprima "Aiutateci", alle anime in terra, e poi "Santu Lussurgiu, proteggici", verso un trascendente che ci guarda con pazienza), l'annullamento della presentazione del libro di Nicolò Migheli e Carlo Augusto Melis. Anche il telefono del cronista inizia a ribollire: "A zia è arrivato l'ordine di evacuazione".

Intanto, non lontano dal Montiferru, l'allarme è forte anche a Cabras, dove il sindaco e l'amministrazione lottano per limitare i danni e annunciano una mobilitazione notturna, finalizzata a bonificare terreni appena attraversati da roghi a stento domati. Ripenso alla recente costituzione della Fondazione Mont'e Prama e mi chiedo se davvero non abbiamo bisogno di una "gigantesca" rivoluzione culturale, capace di realizzare in quale oasi naturalistica abbiamo la fortuna di vivere. Sensibilizzando tutti a preservarla, a prescindere dai vantaggi immediati. Non si fa in tempo a prendere una boccata d'ossigeno - poco ossigeno e molta cenere, per l'intera notte, da queste parti - che dopo la mezzanotte iniziano ad arrivare telefonate, messaggi e video da Tresnuraghes.Le abitazioni di alcuni amici, che ospitano donne anziane e infermi, vengono evacuate, alla periferia del paese. Il perimetro dell'abitato è attraversato da lingue di fuoco che corrono, insaziabili, verso le vigne della pregiata malvasia, verso gli oliveti di "Bosana" e "Cuglieritana", verso il cantiere forestale. Per tutta la notte decine di famiglie vegliano fuori dalle case, abbacinate da un cielo rovente, disegnato da fronti di fuoco altissimi. Si passa, fino alle 6, da Sennariolo. Poi la strada viene chiusa, perché da quel villaggio (o sarà stato un viaggio al contrario?) il disastro si estende alla nobile Cuglieri, con la sua Basilica che sembra stagliarsi - nella notte - come una gigantesca stella polare. Si sentono le grida e le urla degli uomini al lavoro.

Ma intanto il fuoco corre verso Porto Alabe, la paciosa frazione adagiata sul mare: a metà mattina, le fiamme divorano Monte Pira e corrono per la vallata sulla quale sorgono le prime case. Inizia il fuggi fuggi: chi trova riparo in spiaggia, chi raggiunge la piazza principale, che già durante la notte aveva ospitato i primi sfollati.Le immagini per chi osserva dal mare paiono l'affresco di uno scenario apocalittico, rafforzato da quanto sembra svilupparsi al lato della torre di Columbargia, verso il Lido e il villaggio turistico sullo spiaggione.Sono momenti concitati, di lacrime e sudore. Arrivano il Canadair e gli elicotteri, non resta che fare il tifo. In un paio d'ore la situazione sembra tornare alla normalità. E la serata è dedicata alla bonifica. Il problema tornerà quando farà buio e i mezzi non potranno più volare. E le squadre a terra dovranno forse abbandonare il campo.Ci si predispone a un'altra notte in cui si dormirà con un occhio solo. Il fuoco tiene memoria. Noi ne saremo capaci?

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