Una guerra sempre più europea
Un anno dopo l’inizio della guerra contro l’Ucraina il mondo è cambiato. Sono cadute le illusioni di certa utopia liberale quando si credeva che l’interdipendenza dell’economia allontanasse la guerra ad alta intensità tra due Paesi in piena Europa.
La guerra veniva pensata solo come esperienza del passato, non considerando che l’Ucraina lo era già dal 2014, che la ex Jugoslavia fosse stata solo una guerra civile; che Afghanistan, Iraq, Libia solo operazioni di polizia internazionale. Si era messo in conto che la razionalità dei commerci avrebbe avuto influenza negli ordinamenti politici dei Paesi autoritari portandoli verso la democrazia. Invece abbiamo scoperto che in tempi di guerre ibride, tutto può essere usato come arma, come dimostrano le sanzioni e la dipendenza europea dalle fonti fossili della Russia. Nella contemporaneità ritornano parole come: aree d’influenza, blocchi contrapposti che ritenevamo fossero solo esperienze della Guerra Fredda.
Una fine della Storia immaginaria e non una continuità dei processi di lunga durata che sono la ragion d’essere degli Stati e delle nazioni. Soprattutto per quei Paesi che hanno avuto una vicenda imperiale e si vivono come “eccezionali” rispetto alle regole che faticosamente la comunità internazionale si è data; portatori di una missione di civilizzazione. Gli Usa dopo gli anni di Trump ritrovano la guida di un Occidente diviso. Solo nel 2019, Macron sosteneva che la Nato fosse in stato comatoso. Allora lo era. Dopo la fine del confronto con l’Urss stentava a darsi una missione. Oggi l’alleanza trova la sua ragione tradizionale inglobando Paesi come la Svezia e la Finlandia, che preoccupate dall’espansionismo di Mosca, rinunciano alla neutralità secolare. La stessa Svizzera tentenna.
La Nato trova alleati in Oceania e in Estremo Oriente. Il patto strategico tra Italia, Uk e Giappone su armamenti comuni lo dimostra. La Russia impegnata nello sforzo bellico perde influenza; è vista con sospetto dalle repubbliche dell’Asia Centrale, tra queste la più determinata nell’allontanamento è il Kazakistan, che avendo una forte minoranza russa teme il destino ucraino. Anche l’Armenia fedele a Mosca cerca di allontanarsi perché non è stata sorretta nella sua guerra per il Nagorno Karabakh. La Cina pur essendo contraria all’annessione della Crimea e del Donbas, non si distacca dalla Russia. I due Paesi hanno negli Usa e nell’Occidente il nemico comune.
Pechino sa che la guerra allontana le attenzioni su Taiwan. Rinascono i Non Allineati, riprendendo la neutralità della Guerra Fredda. India e il Brasile di Lula sono le guide di un movimento guardato positivamente in Africa, America Latina e Asia. Per loro è una guerra europea, lo scontro raccontato come conflitto tra autocrazie e democrazie non li convince, non è una guerra mondiale. La Turchia, prima del devastante terremoto aveva trovato un suo ruolo di mediatrice inseguendo un sogno neo imperiale, per il momento sospeso. Infine la Ue, che si è trovata marginalizzata e divisa, sovrastata dagli Usa che hanno dettato la linea.
Da una parte i duri dell’Est verso Mosca, dall’altra i più possibilisti occidentali che temono, in caso di sconfitta della Russia, un destino jugoslavo. Già con la pandemia, ma oggi di più, la globalizzazione che avevamo conosciuto è finita. Ci troviamo in una prospettiva di un’economia per blocchi contrapposti con forti limiti alle esportazioni di tecnologie che potrebbero avere un uso doppio: militare e civile. Ci attende un mondo a compartimenti stagni con rivalità sulle materie e una spesa militare esponenziale. Nonostante il nostro desiderio di pace la guerra durerà a lungo. Lo dicono le due parti in conflitto. Ognuna è convinta della propria vittoria. Tristemente sarà il campo a imporne la fine.