Flop della Silicon Valley Bank, il rischio contagio che spaventa il mondo
Anni di politiche monetarie espansive e tassi a zero hanno inondato di liquidità i mercati e le banche, che si sono trovate ad aumentare la loro raccolta a vista
Panico, panico, panico, paura! Così si spiega la corsa agli sportelli che ha sancito il fallimento della Silicon Valley Bank (SVB). Sancito, non causato; perché il panico è motivato. La causa sta nella fragilità strutturale di SVB indotta da varie concause. Una lezione da manuale, anche per noi europei e a cui l’Italia dovrebbe prestare molta attenzione. Anni di politiche monetarie espansive e tassi a zero hanno inondato di liquidità i mercati e le banche, che si sono trovate ad aumentare la loro raccolta a vista.
Così è successo, negli ultimi anni, alla SVB. Venture capitalist e “startupper” negli anni a tasso zero avevano accesso a così tanta liquidità da depositarla presso SVB, non avendo abbastanza progetti da finanziare. E la SVB ha impiegato questi denari aumentando considerevolmente la sua esposizione in titoli di stato a medio lungo termine e obbligazioni ipotecarie garantite dal governo. Titoli a rischio fallimento zero e però proni alla possibilità di perdite in conto capitale in caso di aumento dei tassi su prodotti equivalenti. E così è stato; per effetto della stretta monetaria anti-inflazione. Non solo, aumento dei tassi vuol dire aumento del costo del denaro. E così venture capital e startupper hanno iniziato a ritirare i depositi presso la SVB per fronteggiare le esigenze finanziare dei loro business. Per far fronte a questi prelievi, SVB si è trovata a dover vendere i titoli di stato cosicché le perdite si sono materializzate. E sono state così pesanti da scatenare il panico degli investitori che avevano depositi in SVB; specie quando SVB ha cercato senza successo di ricapitalizzarsi per rifinanziare tali perdite. Il panico ha generato una corsa agli sportelli e SVB si è trovata ben presto nell’incapacità di fronteggiare il conseguente fabbisogno di liquidità. Da cui l’intervento del regolatore, che ha sospeso la convertibilità dei depositi e ha decretato il fallimento della banca. Ora, con la creazione di una good bank, si provvederà rimborsare ciascun depositante fino a un massimo 250mila dollari pro-capite, cifra assicurata, dopodiché verrà liquidato l’attivo della banca e le risorse risultanti verranno assegnate pro-quota a quei depositanti esposti per più di quella cifra. Sembra incredibile. Questa banca era enormemente esposta al rischio legato all’aumento dei tassi avendo investito ingenti quantità della raccolta in titoli di Stato a medio lungo termine. Non solo, la raccolta proveniva tutta da un settore (high tech). Altro rischio. Ancora più incredibile, in questi mesi di politiche monetarie restrittive che si sono tradotte in uno stillicidio di aumenti progressivi dei tassi, niente ha fatto il management di questa banca per coprirsi contro il rischio legato al comportamento dei tassi. Forse perché si aspettavano che i tassi sarebbero scesi una volta venuta meno la pressione inflazionistica. Ma così non è stato; anche perché le banche centrali non sembrano essere sufficientemente credibili, e così gli annunci di politiche monetarie restrittive volte a stroncare l’inflazione non hanno avuto gli istantanei effetti sperati. La diminuzione dell’inflazione è stata ed è graduale, con tutti i costi che ne derivano, non tanto in termini di disoccupazione finora, quanto in termini di perdite in conto capitale per gli investitori. Rischio contagio? C’è, senz’altro, perché le banche sono un sistema interconnesso. E perché tutte le banche hanno in pancia i titoli di stato a lungo termine che oggi valgono meno per via dell’aumento dei tassi. E tutte le banche potrebbero aver bisogno di liquidità per fronteggiare r itiri di depositi. Ecco perché la FED darà alle banche la possibilità prendere a prestito liquidità usando come garanzia gli stessi titoli di stato al valore nominale. In questo modo le banche non dovranno vendere le relative posizioni in perdita per ottenere liquidità. E l’Europa? L’Europa ha condotto anch’essa politiche monetarie espansive per anni, a cui, con la pandemia, si sono aggiunte politiche fiscali espansive finanziate con debito. Debito che è finito anche nel vecchio continente nella pancia delle banche.