La Nuova Sardegna

Guerra in Ucraina

Papa Francesco tiene accesa la speranza

di Marco Impagliazzo
Papa Francesco tiene accesa la speranza

Ciò che preme al pontefice è trovare una soluzione: fin dall’inizio della guerra ha fatto capire che le armi non avrebbero aiutato a risolvere la crisi

14 maggio 2023
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«Invito tutti ad aprire rapporti, canali di amicizia»: questo è lo spirito con cui papa Francesco ha incontrato il presidente ucraino Zelensky. Canali aperti è l’idea del papa perché una cosa è certa: si dovrà tornare a parlare e quindi sarebbe meglio farlo il prima possibile.

A chi critica tale posizione come troppo equidistante, il papa reagisce parlando di imparzialità attiva: lui si è rivolto spesso al «martoriato popolo ucraino» e al «popolo russo» non mettendoli mai sullo stesso piano. Ciò che preme al papa è trovare una soluzione: fin dall’inizio della guerra Francesco ha fatto capire che le armi non avrebbero aiutato a risolvere la crisi. Ma nel frattempo c’è la «necessità urgente di gesti di umanità nei confronti delle persone più fragili, vittime innocenti del conflitto», come comunicato dalla Santa Sede dopo l’incontro durato quaranta minuti. La guerra in Ucraina rende il mondo peggiore e non aiuta, ma anzi allarga il fossato di odio che occorrerà colmare. L’invito a cercare canali di dialogo è rivolto a tutti, come diceva anche Giovanni Paolo: «La pace è un cantiere aperto a tutti». È da più di un secolo che i papi assumono una posizione imparziale davanti ai conflitti: condannare, criticare potrà soddisfare qualcuno, ma priva il papa della possibilità di mediare. Benedetto XV si fece criticare dai cattolici austriaci e francesi, in guerra fra loro, perché invocava la pace davanti all’«inutile strage» della prima guerra mondiale.

Per la Chiesa cattolica la guerra è sempre fratricida; papa Francesco aggiunge il termine «sacrilega» perché rende il mondo un posto pieno «di tombe e non di culle». Il papa non condanna ma cerca canali aperti per ricostruire quel convivere a cui siamo tutti destinati: ciò che conta oggi è far tacere le armi che peggiorano la situazione e sostenere ogni sforzo umanitario possibile per alleviare la sofferenza degli ucraini. L’iniziativa annunciata da Francesco, ancora confidenziale, è quella di aprire un dialogo che guardi oltre. Il papa non si arrende né all’ineluttabilità della guerra, né alle posizioni polarizzate. La grande saggezza della Chiesa davanti ai conflitti viene dall’esperienza e dal mettere la persona al centro delle preoccupazioni: abbiamo davanti agli occhi i risultati delle guerre e di quanto sia poi difficile non solo farle terminare, ma anche riconciliarsi per vivere di nuovo assieme. È ciò a cui mirano le democrazie: non limitarsi a vincere ma pensare al domani. Ciò che caratterizza le democrazie, differenziandole dai regimi autoritari, è proprio questo: la democrazia non insegue la vittoria (sempre effimera o provvisoria) ma guarda a come si può vivere (o rivivere) assieme, a come si ricostruisce un’architettura di sicurezza che permetta di evitare nuove guerre. C’è chi sostiene che senza una vittoria non ci sarà mai pace e che gli strumenti diplomatici servirebbero solo a rimandare la reiterazione dell’aggressione. Ma in realtà la solitudine del papa nel chiedere la pace mostra che ancora troppo poco gli strumenti della diplomazia sono stati utilizzati e che il cantiere della pace è ancora abbandonato. Forse anche per questo Francesco ha regalato al presidente ucraino un ramoscello d’ulivo simbolo di pace. Dal febbraio 2022 la Chiesa è stata molto attiva dal punto di vista umanitario: favorire lo scambio di prigionieri di guerra , aiuti umanitari di ogni tipo (un esempio per tutti l’ingente volume di aiuti inviato in questi 15 mesi dalla Comunità di Sant’Egidio) e l’impegno di riportare a casa i bambini sequestrati in Russia. Allo stesso tempo la Chiesa fa il suo mestiere: cerca la via per una riconciliazione che le pare essere la sola e vera strada del futuro.

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