La Nuova Sardegna

Oristano

Il pizzaiolo non era un violentatore, condanna cancellata

di Enrico Carta
Il pizzaiolo non era un violentatore, condanna cancellata

Bosa, era accusato di aver abusato dal ’95 al 2002 di una delle figlie della convivente: in primo grado una pena a sette anni

30 settembre 2014
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BOSA. In venti minuti di camera di consiglio la Corte d’Appello di Cagliari ribalta la sentenza. Così un pizzaiolo di 45 anni passa, nel breve volgere di una mattinata, da persona che deve scontare una pena a sette anni per un reato infame a innocente. La velocità con cui la Corte d’Appello ha preso la decisione lascia intendere che i giudici non hanno avuto dubbi e gli abusi sessuali su una delle figlie dell’ex convivente sono privi di qualsiasi fondamento.

La vita, a volte, cambia davvero in un attimo. L’imputato (non ne facciamo il nome così come non era stato fatto nei precedenti articoli a tutela comunque delle persone coinvolte, ndr.) ha passato anni a sopportare sul groppone un’accusa che ha sempre respinto, ma che ai giudici di primo grado era sembrata veritiera così come le deposizioni della ragazzina. Succede tutto in una casa di Bosa, dove la più piccola di due sorelle confessa alla maggiore di aver subito degli abusi dal convivente della madre. Non uno stupro, ma gli episodi di violenza sessuale denunciati erano molteplici. L’inferno dentro quella casa sarebbe durato dal 1995 al 2002. Per anni poi su quella vicenda calò il silenzio. Ma di fronte a degli strani atteggiamenti della ragazzina – questo si raccontò nella denuncia – la madre decise che bisognava avere giustizia.

La confessione divenne una testimonianza che fu arricchita di altri particolari, come quelli in cui si raccontava della volontà della bambina di non voler far rientro nella casa dove la madre e il nuovo compagno vivevano. Quel rifiuto dapprima fu messo in relazione con la volontà di non tornare dalla madre e solo successivamente con il fatto che nelle mura di casa ci fosse il nuovo convivente che potesse abusare di lei e con il quale probabilmente c’erano degli attriti perché veniva visto come un antagonista del padre.

Mattone dopo mattone, fu costruito il castello accusatorio che ha portato anche la procura generale a chiedere la conferma della condanna a sette anni comminata in primo grado. Ma sia nei motivi d’appello che nell’udienza di ieri a Cagliari, gli avvocati difensori Giuseppe Longheu e Francesca Fazio avevano messo in evidenza diversi punti della testimonianza sui quali avevano già espresso i loro dubbi anche due anni fa, quando fu emessa la precedente sentenza, che per la corte d’appello fu figlia di troppe contraddizioni. È così che svanisce all’improvviso l’incubo di vedere le porte del carcere spalancarsi e richiudersi per sette anni.

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