La Nuova Sardegna

Oristano

Oristano, la casa di campagna trasformata in prigione per moglie e figlio disabile

Enrico Carta
Oristano, la casa di campagna trasformata in prigione per moglie e figlio disabile

Marito segrega la famiglia: lasciata senz’acqua e telefoni per due anni. Incastrato con uno stratagemma, è sotto processo per maltrattamenti in famiglia

22 dicembre 2018
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ORISTANO. Le colline della Marmilla, il paesaggio, la natura, la casa in campagna e l’inferno. Urla di dolore che si perdono per due anni nel silenzio delle mura domestiche trasformate in prigione dal marito oggi accusato di maltrattamenti in famiglia ai danni della moglie e del figlio disabile. Non era un incubo perché gli incubi terminano al risveglio e basta un attimo per cancellarli. Era invece realtà sino al momento in cui la donna riuscì a rivolgersi al Centro Antiviolenza Donna Eleonora per raccontare la sua storia e quella di suo figlio.

La coppia, con il ragazzino affetto da una grave invalidità psicofisica, si era trasferita qualche tempo fa nella casa in campagna costruita su un terreno di famiglia in un Comune della Marmilla. Era diventata una prigione: il marito padrone la lasciava al mattino presto e vi faceva rientro la sera. Dentro vi passavano ore lunghissime e solitarie la moglie e il figlio impossibilitati a lasciarla per via della disabilità del ragazzo e perché alla donna non erano state date le chiavi. Un giorno dopo l’altro, senza un cenno di ribellione. Eppure dentro quella casa non si stava bene perché mancava l’acqua, perché per un anno avevano vissuto persino senza luce e non disponevano del telefono. Per il resto del paese erano quasi dei fantasmi, ma poiché non arrivavano segnali particolari, nessuno pensava si stesse consumando una serie di abusi e di violenze.

La vittima che ora è parte civile al processo assistita dall’avvocato Roberto Martani è stata chiamata a testimoniare dal pubblico ministero Daniela Caddeo. Ha ripetuto ieri in aula il suo racconto al giudice Elisa Marras che ha poi raccolto la deposizione di Francesca Marras, operatrice del Centro Antiviolenza Donna Eleonora di Oristano che fu contattato dalla signora nell’unico momento di libertà in cui godette per anni.

Accadde che un giorno il marito lasciò il telefono a casa e quello fu l’istante per lanciare il disperato grido d’aiuto alla struttura. Bisognò trovare un appiglio per intervenire senza destare sospetti e così continuare a monitorare la situazione per portare le prove in tribunale e, prima ancora, riuscire a portare via la signora e il figlio dal marito. Ci furono travestimenti in occasione di visite alla Assl e di ricoveri in ospedale e così alla fine si riuscì a scardinare quell’apparente ordine perfetto che il marito – non indichiamo il nome né la località in cui si è svolta la vicenda per tutelare le persone offese – è accusato di aver costruito.

Altri sei testimoni saranno chiamati a deporre nella prossima udienza del 14 gennaio. Già ieri però la difesa affidata all’avvocatessa Maria Giuseppa Scanu ha provato a individuare delle contraddizioni sia nel racconto della parte offesa sia nella testimonianza della psicologa. Elementi che il giudice dovrà valutare nel corso del processo.

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