Il Tar ferma la nuova palazzina
di Enrico Carta
Imposto l’alt ai lavori per un complesso nella zona di Sa Rodia tra via Leone XIII e via De Gasperi
04 ottobre 2019
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ORISTANO. Tutti fermi. La colata di cemento non autorizzata non andrà avanti. Ci pensa il Tar a bloccare le betoniere prima che la palazzina già in costruzione tra via Leone XIII e via De Gasperi diventi troppo alta e a quel punto il danno sia irreparabile. Una violazione urbanistica è alla base dell’intervento dei giudici del tribunale amministrativo, chiamati all’azione da un gruppo di vicini di casa di quello che, nella mente dei costruttori, sarebbe dovuto essere un complesso residenziale di dimensioni notevoli per il quartiere in cui si trova, quello di Sa Rodia.
Lo stratagemma adottato è stato infatti ritenuto illegittimo, pertanto si è arrivati a un provvedimento di sospensiva dei lavori. Le due ditte stavano avviando l’edificazione del terzo piano, ma si devono fermare di fronte a una serie di irregolarità che i giudici, pur non avendo ancora espresso il parere nel merito, ritengono tali sin dalla fase istruttoria tanto da prendere la decisione così drastica. Cos’è successo in quel rettangolo rimasto per decenni prato incolto tra la chiesa di San Giuseppe e il parco di viale Repubblica? Il Puc l’aveva liberato da precedenti clausole urbanistiche molto restrittive e così aveva fatto gola anche ai costruttori. Il problema è che, lo stesso Puc, visto che altre clausole o varianti non sono mai state rese attuative dal voto del consiglio comunale, prevedeva che il 40% dell’area edificabile venisse ceduta al Comune come superficie per parcheggi. «Troppo», devono aver pensato i costruttori che così, per dribblare la norma, hanno frazionato in due il lotto giusto prima di presentare l’autocertificazione per la pratica allo Sportello unico per le attività produttive.
Nel silenzio dell’Ufficio tecnico comunale, in particolare del dirigente del settore Sviluppo del territorio che aveva in mano la pratica, la ditta Edilizia Mazzini e il Gruppo Rinascimento Urbano Ambientale hanno così avviato i lavori convinti che l’escamotage avrebbe consentito loro di evitare la cessione del 40% del terreno e andare su ben più di quanto il Puc prevedrebbe – le altre abitazioni in quella zona raggiungono al massimo i 6 metri e mezzo –.
Fondamenta, primo piano e secondo piano sono sotto gli occhi di tutti. Quando però stava iniziando la costruzione del terzo piano, è arrivato lo stop dei giudici che accolgono la richiesta dell’avvocato Luca Casula per conto dei vicini di casa che avevano presentato il ricorso, a cui si oppongono sia il Comune rappresentato dall’avvocato Gianna Caccavale sia i costruttori rappresentati dall’avvocato Piero Franceschi. È comunque presto per stabilire chi abbia ragione, ma il provvedimento pone alcuni punti fermi. Intanto il frazionamento dell’area non sarebbe valido e così, a cascata, non sarebbero legittimi il tentativo di portare l’altezza a 14 metri e mezzo, l’aumento cospicuo di cubatura figlio della mancata cessione dell’area per i parcheggi – il Comune non può in questo caso incassare soldi in cambio di spazi –, la distanza dell’edificio dal marciapiede che diventa inferiore a 5 metri. L’ultima parola la dirà la sentenza.
Lo stratagemma adottato è stato infatti ritenuto illegittimo, pertanto si è arrivati a un provvedimento di sospensiva dei lavori. Le due ditte stavano avviando l’edificazione del terzo piano, ma si devono fermare di fronte a una serie di irregolarità che i giudici, pur non avendo ancora espresso il parere nel merito, ritengono tali sin dalla fase istruttoria tanto da prendere la decisione così drastica. Cos’è successo in quel rettangolo rimasto per decenni prato incolto tra la chiesa di San Giuseppe e il parco di viale Repubblica? Il Puc l’aveva liberato da precedenti clausole urbanistiche molto restrittive e così aveva fatto gola anche ai costruttori. Il problema è che, lo stesso Puc, visto che altre clausole o varianti non sono mai state rese attuative dal voto del consiglio comunale, prevedeva che il 40% dell’area edificabile venisse ceduta al Comune come superficie per parcheggi. «Troppo», devono aver pensato i costruttori che così, per dribblare la norma, hanno frazionato in due il lotto giusto prima di presentare l’autocertificazione per la pratica allo Sportello unico per le attività produttive.
Nel silenzio dell’Ufficio tecnico comunale, in particolare del dirigente del settore Sviluppo del territorio che aveva in mano la pratica, la ditta Edilizia Mazzini e il Gruppo Rinascimento Urbano Ambientale hanno così avviato i lavori convinti che l’escamotage avrebbe consentito loro di evitare la cessione del 40% del terreno e andare su ben più di quanto il Puc prevedrebbe – le altre abitazioni in quella zona raggiungono al massimo i 6 metri e mezzo –.
Fondamenta, primo piano e secondo piano sono sotto gli occhi di tutti. Quando però stava iniziando la costruzione del terzo piano, è arrivato lo stop dei giudici che accolgono la richiesta dell’avvocato Luca Casula per conto dei vicini di casa che avevano presentato il ricorso, a cui si oppongono sia il Comune rappresentato dall’avvocato Gianna Caccavale sia i costruttori rappresentati dall’avvocato Piero Franceschi. È comunque presto per stabilire chi abbia ragione, ma il provvedimento pone alcuni punti fermi. Intanto il frazionamento dell’area non sarebbe valido e così, a cascata, non sarebbero legittimi il tentativo di portare l’altezza a 14 metri e mezzo, l’aumento cospicuo di cubatura figlio della mancata cessione dell’area per i parcheggi – il Comune non può in questo caso incassare soldi in cambio di spazi –, la distanza dell’edificio dal marciapiede che diventa inferiore a 5 metri. L’ultima parola la dirà la sentenza.